Capitolo XXIV

110 9 34
                                    

- "Rivestiti Chuuya. Ti prenderai un malanno."

Il castano, con la solita fretta di andarsene, scansò il più piccolo e si alzò, ma venne bloccato per il polso. Un moto di fastidio si insinuò nel petto, ma fece di tutto per trattenerlo.

- "Aspetta Dazai, te ne vai di già? Insomma è mai possibile che per parlarti faccio sempre una fatica enorme..."

Questo si fermò, guardò il rosso e con una mezza smorfia infastidita, impossibilitato a celare oltre il nervoso, rispose con parole fredde, quasi come se Chuuya fosse un bambino noioso in cerca di attenzioni.

- "E di cosa vorresti parlare?"

La durezza del tono usato lasciò spiazzato per qualche secondo il rosso, che la prese sul personale, non capendo il motivo di questo cambiamento improvviso.

cosa ne so io...
Ma poi perché mi parla così?
Sarà perché ormai ha finito?
Dopotutto ha ottenuto quello che voleva, che senso ha stare con me se non per quello.
Ma io non sono abbastanza per lui.
Me lo dimentico sempre.
Cavolo però fa male ogni volta che ci penso.
Sarà meglio lasciarlo stare...

- "Nulla, non importa. Avrai cose più importanti da fare"

Il più grande non facendo troppo caso al rosso, e anzi sentendosi leggermente sollevato, uscì senza aggiungere altro. Quest'ultimo però non la prese bene: si sentiva come un oggetto, un qualcosa che tanto era lì pronto per essere usato.

Ma cosa ho sbagliato?
Magari non gli è piaciuto il modo in cui mi sono fiondato su di lui, o magari ho sbagliato qualcosa.

Aspetta però.

Sbaglio o mi ha chiamato "amore"...?

Sì l'ha fatto, ma ciò non cambia nulla. Magari non lo intendeva davvero, esattamente come tutte le altre volte.
Certo però che ha le idee confuse quel ragazzo. Ma così facendo le confonde anche a me.
Magari dice certe cose perché lo fanno eccitare...?

Pensieri confusi si mischiavano nella sua mente mentre sentimenti contrastanti cercavano di emergere dal petto.
Se è vero che la guerra è la madre di tutte le cose, allora Chuuya in quel momento era la perfetta rappresentazione di tutto.
Non capiva come mai Dazai si comportasse in maniera così differente da un momento all'altro e proprio non riusciva a farsene una ragione dicendosi che "è fatto così". Voleva sentirsi amato, e questo bisogno nasceva dall'illusione di poterci effettivamente riuscire, per via di ciò che Dazai diceva. Ormai non ci pensava nemmeno più ad una possibilità di uscire di lì, amava Dazai come non aveva mai amato nessuno.

Ma ora vi offro una riflessione:
Quello che Chuuya provava, era davvero amore? O era semplicemente il frutto della manipolazione esercitata da Dazai?

Difficilmente le persone dipendenti vedono la differenza. Non riescono a notarla, e quando ne scorgono i segnali li ignorano volutamente.

Dazai mi ama... L'ha detto più volte...
però non l'ha mai dimostrato.
invece sì, non mi ha ancora ucciso.
forse perché vuole continuare a usarmi.
eppure dice che sono speciale.
magari l'ha detto anche ad altri.
tutti quei momenti passati a farmi del male saranno pur significati qualcosa.
o magari ero solo la sua bambola voodoo.
però prima ha gradito, insomma penso...
magari è solo stato preso dal momento visto che l'ho praticamente aggredito.
cavolo non capisco cosa passa per la mente di Dazai, più ci penso meno capisco.
magari mi vuole per lui ma solo nel modo in cui vuole lui, quindi qualunque cosa io faccia o pensi che vada al di fuori dei suoi parametri lo infastidisce...
Devo migliorare, sennò non gli piacerò mai.

Senza nemmeno rendersene conto le lacrime cominciarono ad uscire copiose una dopo l'altra, come i bambini che sullo scivolo non attendono che l'amico sceso prima di loro si scansi, scontrandosi dunque alla fine della discesa.
Il dolore lo poteva sentire spingere da dentro. Si sentiva così a disagio sapendo che le sue mosse "audaci" erano viste come qualcosa di fastidioso, si sentiva inadatto e giudicato; tanto che quelle sensazioni cominciarono a manifestarsi sottoforma di scosse che percorrevano i nervi dal braccio fino alla punta delle dita. Sentiva autentico dolore fisico percorrergli il corpo e ogni volta che nella sua mente tornava l'immagine di Dazai le scosse aumentavano.

Sta diventando insopportabile questa sensazione, devo fare qualcosa.

Quasi d'istinto il ragazzo prese dal mobile del bagno la lametta che aveva nascosto e tenuto da parte in modo da assicurarsi che restasse pulita. Non ebbe esitazione come l'ultima volta e la passò leggera sull'avambraccio, vicina al polso: luogo dove sentiva che le scosse si stavano accumulando. La punta delle sue dita ancora presentava quei sintomi ogni qualvolta egli ripensava al motivo per cui stava male, ma il sangue che fuoriusciva lo distraeva e lo faceva sentire meglio, o più precisamente lo faceva sentire vuoto. Le scosse smisero di insinuarsi prepotenti nei suoi nervi e con fatica riassestò la calma. Dopo un profondo respiro si guardò il braccio, e notò diversi segni. Erano parecchi, più di quanti avrebbe voluto. Sciacquò l'arnese in metallo sottile, si disinfettò col betadine, si avvolse nelle bende, senza mai guardare lo specchio. Non ne era in grado. Sentiva come se l'immagine riflessa non aspettasse altro che mostrargli una persona raccapricciante. Non voleva vedersi in quello stato, non ne aveva bisogno: sentiva dentro di sé che nell'immagine dello specchio c'era l'immagine del motivo per cui Dazai lo riteneva disgustoso. Era lui stesso a ritenersi disgustoso.

Da quando mi faccio condizionare così dal giudizio di qualcuno? Insomma, sticazzi di ciò che pensa quel pazzo suicida...
Sì, facile a dirsi. Maledetti sentimenti.
Se solo non lo avessi mai conosciuto... Ormai ne sono dipendente, lo amo troppo per ribellarmi.
Quindi sono gay?
Sticazzi di cosa sono...
Magari non è nemmeno vero amore il mio...

Desolato e ridotto ad uno straccio, tutto ciò a cui riusciva a pensare era che aveva sonno, voleva dormire, voleva spegnere il cervello. Non voleva che il domani arrivasse, non ne aveva bisogno. Un capogiro gli fece girare la testa: era ancora pallido e aveva bisogno di riposo. Aver perso altro sangue non era stata una buona idea. Così, dolorante ma confortato da quel bruciore si mise sotto le coperte; e come svuotato da tutte quelle lacrime, si addormentò leggero, senza pensieri, accompagnato solo dalla sensazione patinosa del liquido salato seccato sulle guance e ai lati degli occhi.

Non sei abbastanza || SoukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora