Capitolo XLVI

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Il mattino seguente il rosso venne svegliato dai raggi di sole che penetravano dalla finestra rimasta aperta dalla sera prima. Si stiracchiò e guardò il soffitto, poi si rigirò su un fianco e tornò a con gli occhi chiusi, a pensare.

Oggi sarà di cattivo umore?
Avrà voglia di parlarmi?

In realtà poco gli interessava. Oramai vivevano assieme e ogni giorno brutto sarebbe stato succeduto da uno migliore (sempre finché non fosse arrivato il giorno peggiore di tutti e uno dei due fosse morto, allora in quel caso di giorno migliore non se ne sarebbe vista l'ombra).
Il soffitto gli pareva assai interessante da quella prospettiva, anche se esso era bianco e spoglio. Pensò che avrebbe voluto riempirlo con qualcosa ma non sapeva disegnare. Ma poi chissà se Dazai glielo avrebbe permesso. Si rigirò su se stesso in attesa di... boh qualcosa. Provò a richiudere gli occhi ma ormai sonno non ne aveva più e pensò che era giunto il momento di alzarsi.
Si lavò il minimo indispensabile e poi andò verso la cucina dove sperava di trovare qualcosa per la colazione. Si accontentò di tè e biscotti. Mentre mangiava il castano uscì dalla sua stanza, visibilmente assonnato, e si sedette di fronte a lui in quel tavolo che divideva il salotto dalla cucina.

- "Tu non mangi?"

Io rosso non ottenne risposta, anzi il più grande di fronte a lui si alzò e se ne tornò in camera, probabilmente per lavarsi. Dazai appena sveglio non rivolgeva la parola a nessuno. Si era recato in cucina solo perché si era dimenticato di avere un nanerottolo un casa. Una volta uscito dalla camera era fresco come un fiore: lavato, vestito e profumato.

- "Faresti anche a me una tazza di tè?"

- "Sì certo"

Inaspettatamente era gentile, quindi perché rifiutare? Il rosso preparò la bevanda e gliela porse, poi si risedette.

- "Chuuya, ti ricordi cos'è successo ieri?"

- "Pur troppo sì."

In quel momento un'ondata di ricordi pervase entrambi, e nessuno dei due proferì più parola finché non ebbero finito di mangiare. Rimisero tutto a posto e infine si fermarono uno di fronte all'altro in mezzo a quel disagio palpabile. Entrambi avevano cose da dire ma nessuno aveva il coraggio di aprir bocca.

Dovrei chiedergli di spiegarmi meglio come si sente? Pensava il rosso.
Dovrei chiedergli scusa in maniera decente e comportarmi da civile essere umano e spiegargli meglio un bel po' di cose? Pensava il castano.
Così finì che stettero a fissarsi intorno: dappertutto fuorché negli occhi.

Cazzo Chuuya fatti coraggio e chiediglielo.

No però non me la sento proprio.

Oh ma davvero non riesci a fare una semplice domanda?

Ma poi perché mi sta di fronte? Ha da dire qualcosa?

Entrambi si fecero coraggio finché non parlarono insieme

- "Vai prima tu"

Il rosso decise che avrebbe fatto parlare prima l'altro, magari avrebbe potuto già rispondere alle sue domande. Così il castano iniziò.

- "Lo so che ieri ho sbagliato. Insomma sbaglio spesso."

Tutto qui?
Aspettiamo in silenzio, magari dice altro.

Ma le parole al castano proprio non uscivano così parlò il rosso.

- "Dovresti parlarmi di qualcosa. Ad esempio, sai, finire il discorso di ieri sera."

In quel momento Dazai avrebbe preferito farsi un bagno nelle sanguisughe piuttosto che essere lì ad affrontare quella parte di lui. Così non rispose e semplicemente se ne andò. Nel senso che proprio uscì di casa.
Chuuya ne rimase sorpreso ma non troppo. Ultimamente il castano sembrava essere cambiato: lo trattava effettivamente da essere umano. Così pensò che ad avergli fatto guadagnare questo rispetto da parte del più grande fosse il suo comportamento distaccato e anche più maturo rispetto a prima.

Cos'è sta storia? Mi tratta meglio solo perché io lo tratto peggio?

Il ragionamento in sé non era sbagliato: quel che portava il castano a dimostrare cose come attenzioni e affetto era proprio il fatto che Chuuya non ne provasse verso di lui. Non sapeva nemmeno lui il perché. Non capiva nemmeno lui stesso cosa ci fosse di così attraente in quell'atteggiamento menefreghista.

Allo stesso modo Chuuya trovava Dazai incredibilmente fastidioso in quei giorni per lo stesso motivo: era troppo appiccicoso e non lo trattava più con sufficienza.

Entrambi avevano sviluppato lo stesso atteggiamento disorganizzante nei confronti dell'altro e ciò avrebbe portato all'eterno disinteresse di uno o dell'altro. La soluzione sarebbe stata una sana via di mezzo tra il morboso e il dissociato, ma non riuscendo a capire perché smettevano di tollerarsi la cosa non avrebbe mai avuto fine.

Chuuya decise che l'avrebbe aspettato al ritorno. In realtà non gli interessava troppo che tornasse, ma più che altro il frigo era vuoto e non aveva di certo soldi a disposizione.

Sente che mi sto allontanando?
Sente che non lo vedo più come prima?
Io non lo sopporto più
C'è una grande parte di me che ne è dipendente, ma il restante.... insomma io non voglio che mi tratta così.
Io voglio tornare come prima.

E cosa avevamo prima che ora non abbiamo?

Quel sano distacco da parte di entrambi, ecco cosa.

Voglio che torni ad essere il solito Dazai sicuro di sé, quello che non ha bisogno della mia approvazione.

Ieri che mi ha raccontato quelle cose mi è apparso.... Debole, diverso.

Vorrei aiutarlo. Ma se parlarmi di sé vuol dire aprirsi troppo allora no.... Mi serve una guida da seguire.

Però è anche vero che se si aprisse con me potremmo riuscire a instaurare un rapporto più sano.

D'altro canto Dazai la pensava in maniera opposta.

Perché Chuuya si era distaccato? Cosa era successo? Aveva forse trovato quella sicurezza in sé abbastanza forte da fargli capire che in realtà il castano era solo un fallito? Perché lui si credeva un fallito: rapire e uccidere bambini di certo non è il brillante futuro di una persona straordinaria.
Cominciò a sentirsi schiacciato dall'atmosfera intorno a lui. Era nel supermercato ma non prestava attenzione a cosa mettesse nel carrello.
E se si fosse stancato di me?
Se tutto quello che gli ho detto ieri gli avesse fatto capire che persona sono?
Se decidesse di andarsene?

Poi tornava in sé e ripeteva
"Cosa mi importa."
E continuava a scegliere articoli, completamente a casaccio.

Cosa mi importa se vuole andarsene, cosa cambia nella mia vita se lui non c'è, si ripeteva come un mantra nella testa. Però non si convinceva.
Era l'orgoglio a parlare.
Perché mai avrebbe dovuto ammettere di tenerci così tanto? Dopotutto Chuuya era un essere umano, pure più piccolo, più scemo e più basso. Di certo era molto più carino rispetto agli altri, ma in fin dei conti nulla lo rendeva così essenziale.
Eppure quella paura di perderlo c'era.
Quell'ansia di svegliarsi la mattina e non trovarlo a far colazione lo seguiva.
Vivevano insieme da poco più di un paio di giorni ma forse era troppo. Chuuya era maturato, non si sarebbe più fatto trattare come un anno prima. Questo lato del rosso sconsolava ma allo stesso tempo interessava al castano.

E se stesse diventando pian piano come me? Pensò d'un tratto.
Forse l'averlo trattato in quella maniera per così tanto tempo l'ha portato... a crescere così. Si diceva.
Pensava che effettivamente non sarebbe stata la prima volta che un comportamento venisse tramandato: la vittima che assimila le caratteristiche del carnefice, poi a sua volta diventa essa stessa un carnefice che creerà un'altra vittima che lo copierà e diventerà carnefice che farà un'altra vittima. È un circolo vizioso senza fine.
Chuuya era vittima di Dazai che a sua volta era vittima di suo padre.
Ora avrebbero avuto molto in comune. Ora c'era quasi la possibilità che diventassero addirittura una squadra, che cominciassero a "lavorare" insieme.
Questa soluzione gli garbò così tanto che smise di pensarci e tornò a concentrarsi sulla spesa.

Non sei abbastanza || SoukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora