Capitolo XXXIII

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Finita la scuola i tre si salutarono e ognuno andò per la sua strada. Chuuya tornò a casa, sembrava essersi ripreso dal giorno prima, magari era ancora in tempo per salvarsi. Si preparò il pranzo, mangiò a sazietà e poi si fiondò sul divano, pronto a riposarsi. Dormì un paio d'ore, circa funo alle 17, e quando si svegliò notò il cellulare.

Dannazione... mi ero finalmente scordato di quello scemo di Dazai...

Ovviamente gli tornò alla mente il compito che gli era stato affibbiato e volle andare. Volle tornare in quell'ospedale/penitenziario, si ripeteva che era curioso, che voleva scoprire cosa Dazai stesse combinando, quando sapeva benissimo da solo che in realtà poteva farne a meno. Così si arrese al suo istinto e si avviò verso l'autobus, arrivò in quel luogo, gli dissero che non era orario di visite ma un uomo all'apparenza autorevole lo fece comunque entrare

Che quello scemo suicida abbia già preso il controllo di sto luogo?

Lo scortò nella medesima stanza, davanti alla medesima persona, la quale però non perdeva mai quel velo di speciale: anche se avevano convissuto per mesi, quel volto sembrava più nuovo di qualunque corridoio sconosciuto che aveva percorso per arrivarci.

- "Chuuya ciao, il telefono."

- "Mamma mia che accoglienza. Eccolo."

Il rosso dovette ammettere a se stesso di essere rimasto leggermente deluso dal modo in cui venne trattato, si aspettava un caloroso bentornato, magari qualche domanda per rompere il ghiaccio, invece ottenne solo fredde parole, e si ricordò che alla fine il suo unico compito era quello di fare da tramite tra il castano e il mondo esterno.

- "Come te lo do? C'è una guardia là e non mi pare ci sia spazio nel vetro per passartelo"

- "Non ti preoccupare, dallo pure alla 'guardia' laggiù, me lo darà poi. Bravo che te ne seu ricordato."

Rimase un po' perplesso quando scoprì che in realtà quell'uomo era un aiutante del castano, ma non ci fece troppo caso, ormai non gli importava più. Così si alzò e lo consegnò, poi tornò a sedersi di fronte alla spessa lastra, accorgendosi però dello sguardo interrogativo del più grande.

- "Cosa ci fai ancora qui?"

Ma è serio?

- "Nulla, pensavo avessi altro da dire."

- "Bene io ho finito, puoi anche andartene."

Come immaginavo.

Il rosso si alzò senza rispondere, prese le sue cose e si fece scortare all'uscita. Solo quando tornò a casa cominciò a darsi dello stupido. Dopotutto ci era cascato di nuovo, Dazai era riuscito a usarlo a suo piacimento.

Ma cosa ho fatto di male? Ieri era così amorevole... Cercava solo di ingraziarmi, ecco cosa.

O magari sono io che ho fatto qualcosa che non va? E se ce l'avesse con me?

Ma porca puttana Chuuya basta! Piantala di stare dietro a quello sfigato.

Tanto sfigato non è suvvia, è intelligente e sa il fatto suo, e poi è anche molto bello...
Ma non è questo il punto.

Mi faccio pena.

Saltò la cena, non si lavò, e restò sveglio tutta la notte a cercare di capire cosa mai avesse potuto fare di male. Si disse che non gli importava, poi si rigirava nel letto e il peso sullo stomaco si faceva sentire, lì allora ammetteva che gli importava eccome.  Avrebbe potuto tornare a visitarlo il giorno dopo, solo per chiarire, non voleva altro. Ma perché mai avrebbe dovuto chiarire se non gli importava più nulla di Dazai?
Non aveva nemmeno la forza di arrabbiarsi.

Lo sto perdendo di nuovo...

No Chuuya smettila, ormai non è più un tuo problema.

Cazzo Dazai perché non sparisci? Muori per favore così sarò libero...

Si mise a piangere, pensò ai suoi amici e a quanto fosse felice, e si rese conto che quella felicità non gli bastava più. Fino al giorno prima era tutto ciò che avrebbe difeso al massimo delle sue forze, ora invece avrebbe volentieri sacrificato chiunque pur di riavere quel castano. Si sentiva perso. Perché mai era andata a finire così? Era libero, era felice, e lo sapeva.

Ho fatto una scelta di merda, avrei dovuto ascoltare Aku e Gin... Ormai non posso più tornare indietro...

Non chiuse occhio, la sveglia suonò e andò a scuola. Incontrò le sue persone preferite (o almeno lo erano fino a due giorni prima) ma non raccontò nulla almeno finché non furono loro a chiedere.

- "Chu alla fine com'è andata col quella persona di cui ci avevi parlato? Insomma che hai fatto?"

- "Ah, quello... sono andato a trovarla."

- "E che è successo?"

- "Un disastro."

Aku posò una mano sulla spalla del suo amico in segno di conforto, poi chiese maggiori informazioni che però non arrivarono. Sia lui che Gin erano a conoscenza del fatto che il rosso veniva da una famiglia difficile e nell'anno precedente a quello scolastico durante il quale si erano conosciuti erano successe cose orrende, ma nessuno sapeva esattamente cosa, e non chiesero mai, un po' perché non gli interessava e un po' perché sapevano che Chuuya non avrebbe voluto parlarne.

- "Se hai bisogno di parlare noi ci siamo per te, ricordatelo."

- "Certo lo so."

Anche se quella frase aveva uno scopo di conforto in realtà ottenne il risultato contrario: Chuuya si sentì a disagio nel sentirsi dire tali parole, quasi come fosse obbligato a parlarne con loro che in caso contrario sarebbero rimasti offesi. Ovviamente i suoi amici non avrebbero mai dubitato della fiducia che il rosso poneva in loro, ma le paranoie, fino a quel momento sconosciute, cominciarono a farsi strada nella sua testa sempre più in profondità. Le percepiva per ogni cosa: quando pestava il piede a qualcuno sul bus, quando la professoressa gli chiedeva di alzare la voce, quando rideva troppo rumorosamente, quando passava vicino a qualcuno e non sapeva se salutarlo o no, quando a motoria veniva scelto tra gli ultimi, quando si lasciava andare e diceva qualcosa di strano, quando si arrabbiava per motivi troppo scemi, ecc ecc...
Diventò una persona insicura, cominciò a ritenersi imbarazzante e indegno di essere se stesso, ogni volta che si guardava allo specchio ricordava tutti gli episodi in cui non si era comportato in maniera esemplare. Tutto ciò perché non si sentiva abbastanza, e l'unico a cui aveva conferito il potere di decidere il suo valore era Dazai, e Dazai in quel momento lo trattava da schifo quindi lui era lo schifo.

- "Prof, posso andare in bagno?"

- " È urgente?"

- "Sì."

Senza aspettare la risposta si fiondò fuori dall'aula per chiudersi in quel posto sicuro. Stava avendo un attacco d'ansia: l'aria non gli bastava dunque aveva accelerato il ritmo della respirazione, il cuore gli batteva così forte che lo sentiva in gola e gli veniva da vomitare, nel frattempo si sentiva vuoto fisicamente, come se non avesse organi dentro di sé perché li sentiva spingere come aghi contro la sua pelle dall'interno. Gli venne anche da piangere, lo fece, provò a calmarsi, dopo cinque minuti ci riuscì. Rimase ancora un po' lì dentro, ne approfittò per fare i suoi bisogni. Si passò le mani nei capelli come per essere sicuro che il cuoio capelluto fosse ancora lì, li sistemò un pochino e poi uscì, si lavò le mani e la faccia e tornò in classe.

Non sei abbastanza || SoukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora