capitolo 3

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BEATRIZ

San Diego - California

Oggi 23 anni

Fisso l'orologio alla parete del Jolly che mi ricorda che è passata da poco la mezzanotte e il mio turno doveva finire almeno un'ora fa. Preparo altri due cocktail e l'ennesimo amaro a questo sfigato che si ostina a venire tutte le sere al bancone del locale e mi sbava dietro. Distendo le braccia in alto cercando di sgranchirmi la schiena prima di rimettermi a lavoro. Resisto altri venti minuti, poi me ne vado a casa a cullarmi nel mio letto.

Il Jolly è un locale sulla costa di San Diego sempre pieno di surfisti muscolosi che esaltano i loro corpi massicci come fossero delle statue greche. Stasera ce ne sono più del previsto e mi sono dovuta trattenere a lavoro. Tracannano alcool come se non ci fosse un domani e come se questa fosse la loro ultima notte di vita sulla terra. C'è stata una gara di surf nel pomeriggio e il figlio del mio capo ne è uscito vincitore. Devo dire che non posso lamentarmi affatto del mio lavoro, visto il ben di Dio che frequenta questo locale e che lascia libero spazio all'immaginazione di noi povere bariste. Perché giusto con quella riesco a soddisfarmi. L'immaginazione.

Raccolgo i capelli in una coda disordinata lasciando che delle ciocche nere scivolino sul mio viso ormai stanco e mi verso uno shot di tequila prima di sfilarmi il grembiule e darmela a gambe levate.

«Ciao Jass, ci vediamo domani!» saluto alzando un braccio e faccio per andarmene.

«Ehi, Bea!» mi ferma incitandomi ad aspettare «hanno lasciato questo per te oggi, me ne stavo dimenticando. Scusami ho avuto la testa altrove»

Jass è la mia collega nonché la mia unica amica a San Diego da quando ho messo piede in questa città, cinque anni fa. È una tipa semplice: magrolina, capelli castani, viso pulito. Sta sempre per i fatti suoi e proprio come me, non ha famiglia qui. La sua vita è un vero mistero ma anche lei non sa niente della vera me, nessuno sa niente. Ho semplicemente raccontato un mucchio di stronzate per tenere nascosta il più possibile la mia vera identità, anche se mio cugino Elyas ogni tanto manda qualche scagnozzo a farmi da cane da guardia. L'ultima volta mi sono limitata a rimandarglielo indietro con un dito mozzato. Non uso la violenza ma quando mi sento messa alle strette mi viene naturale farlo e questo mi spaventa a morte perché mi piace. Solo con una persona non sono riuscita mai a reagire. L'unico che mi lasciava pietrificata e che è sempre stato in grado di insinuarmi il terrore fin sotto tutti gli strati della pelle. Al solo pensiero una morsa mi stringe lo stomaco.

Allungo una mano per prendere il foglietto bianco piegato in due e lo apro.

«È uno scherzo, Jass?» chiedo confusa.

«No, Bea. Un ragazzo mi ha lasciato questo per te oggi»

«Ma è vuoto, non c'è scritto nulla»

Fa spallucce e riprende a riempire bicchieri di ghiaccio e liquore.

Accartoccio il foglio bianco nel palmo della mano e lo getto nel bidone della spazzatura non appena esco dal locale. Prendo le chiavi della Mustang nella borsetta e mi affretto a salirci sopra. Ingrano la prima, esco dal vialetto e faccio rientro a casa. È da un paio di giorni che ho la strana sensazione di essere osservata e mi auguro che non sia un altro degli amici di mio cugino, credevo che il mio messaggio l'ultima volta fosse stato chiaro.

Lo so che si preoccupa per me, è il suo modo di dimostrarmi il suo affetto malato nonostante mi sia allontanata dalla famiglia inscenando il mio funerale. In quel momento era l'unica maniera per far calmare le acque. Elyas e lo zio Hugo non erano molto d'accordo ma non si poteva fare altrimenti.

Devo dire che me la cavo piuttosto bene da sola, certo non riesco molto a socializzare, specialmente con gli uomini. Ogni volta che ci provo mi blocco, non riesco ad andare oltre un semplice bacio e qualche toccatina. Un'infinità di diapositive in bianco e nero iniziano a scorrere nella mia testa e ripercorro inevitabilmente quelle orribili giornate che mi hanno distrutto la vita. Vedo l'uomo che ho ucciso stuprare mia madre, percepisco il suo alito caldo rovesciarmisi sulla pelle, sento gli schizzi di sangue colarmi sul viso e divento frigida. E poi mi ricordo di quel giorno al campus, forse il più brutto in assoluto. Liberarmi dall'immagine della faccia della mamma è stata la cosa più difficile da fare ma ci sono riuscita solamente con un uomo. Il mio incubo peggiore e l'eccitazione più inebriante di tutta la mia esistenza. Ma per liberarmi di tutto il resto invece, non credo ce la farò mai. Provare a farmi toccare da altri uomini è stata una sfida contro me stessa che perdo inesorabilmente ogni fottuta volta, perché nessun tocco sarà mai come il suo. Lottare contro me, non serve a niente.

𝖂𝖊 𝕬𝖗𝖊 𝕮𝖍𝖆𝖔𝖘 - 𝕬𝖗𝖙𝖊𝖒 - 𝖛𝖔𝖑. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora