{5} Strawberry Popsicle

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4 luglio

I raggi del Sole caldo mi colpivano gli occhi e se fossi stata in quella posizione per ancora un po' di tempo, sarei venuta con le palpebre abbronzate.
Mi ero girata sottosopra, ma provavo lo stesso troppo caldo.

«Mamma, posso prendere un ghiacciolo al furgoncino qua sul lungomare che porta il cibo? Per favoree, ho caldo.»
«Va bene tesoro. Quanto costa? Tieni 5 euro, dovrebbero bastarti.»
«Grazie grazie graziee. Ti voglio bene.»

Più che camminare, stavo correndo sulla sabbia bollente cercando di non ustionarmi.

Volevo il ghiacciolo alla Coca-Cola, ma erano finiti e rimaneva quello alla fragola, quindi avevo optato per quello.

Dopo aver finito il mio snack, mi ero addormentata e poi mi ero svegliata per l'ultimo bagno della giornata.

Non amavo il mare, non lo amerò mai, ma ci andavo solo perché la mia amica Maya passava le vacanze là.

«Si sta facendo tardi amore. Torniamo a casa, ci laviamo e ordiniamo una pizza, non ho la forza di cucinare oggi. Anche ieri ero un po' stanca.»
«Uffa, okay. Però prendiamo la pizza con il prosciutto, lo preferisco rispetto al salame.»
«Va bene. Dai, Soleil, muoviti.»

Tornavamo a casa a piedi e gli occhi mi rimbalzavano da un negozio all'altro.
Camminavo vicino a mamma, ma ad un certo punto non stavo avvertendo più la sua presenza.

Anzi, avevo sentito un tonfo pesante appena dietro le mie spalle.

Mi ero girata di scatto e ricordo ancora l'orrore che provavo in quel momento: mia mamma aveva avuto un infarto. Era a terra inerme, gli occhi chiusi.

Mia mamma era morta.

O era solo svenuta?

Lei non c'era più.

Non esisteva più ormai.

Le lacrime iniziavano a rigarmi le guance e in preda al panico, mi ero mossa dal blocco di ghiaccio che si era creato e mi ero precipitata sopra al suo corpo esanime.

Il suo cuore non batteva più.

La gente attorno era corsa in mio aiuto e chiamava un'ambulanza in fretta.

Non capivo più nulla.

Un uomo che non conoscevo mi aveva detto che era un dottore e aveva iniziato a battere forte con le mani incrociate e le braccia tese a ritmo costante e veloce sopra il torace di mamma.

Stava continuando all'infinito.

Prima 4 minuti.

Poi ne contavo 7.

Poi 12.

E sempre di più.

Poi, dopo svariati minuti, sempre più forte, avevo sentito un rumore.
Un'ambulanza stava venendo a salvare mia mamma.

Potevano salvarla e lei sarebbe tornata a sorridere con me come faceva sempre.

Poteva vivere.

Un medico mi aveva portata credo in una stanza dell'ospedale, non ricordo.
Là ero svenuta.

Non ero morta.

Non io.

Lei sì.

Me lo avevano detto: «Se n'è andata troppo presto e non siamo riusciti ad agire in tempo. Ci dispiace tantissimo.»

So che non era colpa loro.
Né di mamma.
Né mia.
Né del medico che aveva provato ad aiutarla.

Il giorno dopo o quando finalmente mi ero risvegliata, avevo preso la decisione di vivere per lei, per mia madre.

Avrei continuato a respirare per lei.

Il mio cuore avrebbe continuato a battere per lei.

Rosso amore, rosso dolore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora