6. segreti paralleli

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La richiesta di Brooke mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Ho la sensazione che lei mi abbia imposto delle regole senza che io ne sapessi nulla, e questa cosa non mi va giù.
Le sue parole, al contempo, mi fanno riflettere, e una parte di me ne è persino dispiaciuta.
Ian non vuole frequentare quest'università, Ian non vuole vivere qui e, da quel che dice sua sorella, preferirebbe essere in qualsiasi altra parte del mondo.
Perché non farlo?
Chi lo costringe a fare qualcosa che non vuole?

É adulto, potrebbe davvero fare quello che vuole.
Tutto questo mistero alimenta la mia curiosità che, nei suoi confronti, è già abbastanza alta.
Questa mattina io e Brooke abbiamo fatto finta di niente. Abbiamo fatto colazione e poi abbiamo raggiunto l'aula in cui si terrà l'unica lezione che suo fratello ha in comune con noi.

Onestamente non so in cosa io speri di più. Se vederlo potrebbe darmi qualche risposta, ma quando prendo posto e noto che Ian non è ancora arrivato, vengo pervasa da un forte senso di malinconia che mi accompagna per il resto della mattinata.

Mi perdo nei miei pensieri e in mille congetture che però sfumano non appena il mio cellulare segna l'arrivo di un messaggio.

So bene di chi e di cosa si tratta, ma prendo ancora un'ora di tempo, prima di leggere qualcosa che sto rimandando da troppo.

Pensare alla mia storia e ai motivi per cui dovrei rispondere a questo messaggio, mi provoca un senso di nausea che neanche il medicinale più forte al mondo potrebbe calmare.

Il mio dolore l'ho somatizzato talmente bene che avverto quasi sollievo mentre lo provo. Come se, in qualche modo, mi fossi abituata a questo stato. Ecco, credo che questa sia la cosa più brutta che può capitare ad una persona: vivere nella sofferenza e non farci più caso. Perché oramai fa parte di me, del mio sangue e di ogni cellulare del mio corpo.

Non ricordo come ero prima, e non so come potrei essere dopo se avessi il coraggio di accettare quello che c'è scritto in questo messaggio e di mettermi in gioco.

Le cicatrici che macchiano il mio corpo, con il tempo e con le giuste cure, potrebbero affievolirsi e vedersi meno. Tuttavia, sono convinta che alcune ferite resteranno per sempre nella mia anima e che, nemmeno la clinica migliore al mondo, sarà in grado di mimetizzarle con quello che resta di me.

La vita, dopo quello che mi è stato fatto, mi ha dato molte opportunità: posso studiare in un college facoltoso come Harvard, ho una stanza stupenda e la possibilità di comprare libri a volontà grazie all'ingente somma di denaro che ho sul mio conto in banca.

E, mi costa ammetterlo, ma quei soldi non sono soltanto il frutto di una meritata borsa di studio.

Le mie attuali possibilità economiche nascono dal fango, dal dolore e da tutto quello che può essere paragonato a qualcosa di estremamente ignobile e brutto.

Sospiro, e soltanto dopo essermi chiusa nella mia stanza, trovo il coraggio di leggere quel messaggio.

Ho la possibilità di eseguire delle sedute gratuite presso una clinica privata a pochi chilometri da qui. Fra i vari reparti, in cui lavorano i migliori medici del posto, c'è quello che mi riguarda.

Lesioni cutanee croniche.

Queste tre parole rimbombano nella mia testa da anni, ma ancora non riesco ad accettare la possibilità che mi è stata offerta.

Provo ribrezzo verso me stessa e verso l'aspetto che ha il mio corpo.

Non riuscirei mai a spogliarmi davanti ad un estraneo, pur sapendo che potrebbero esserci situazioni ben più gravi della mia.

E non parlo solo delle cicatrici, di cui ormai conosco a memoria i contorni.

Parlo del fuoco che per troppi anni ha divampato sulla mia pelle e di cui, nessuno, se n'è mai importato. Bruciava ed io urlavo, urlavo ma bruciava ancora.

The last chanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora