Capitolo 28

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Howard afferrò il battiporta e bussò con un colpo sicuro.
Un momento dopo udì la serratura scattare e la porta si aprì di uno spiraglio, facendogli incontrare gli occhi scuri di Ottavia.
"Howard," disse, dopo averlo studiato per qualche secondo come a volersi assicurare che fosse reale "è presto e non ti aspettavo..."
"Spero mi perdonerai, so di essermi fiondato qui senza preavviso, ma, se permetti, dovrei parlarti."
Lei aggrottò la fronte, e a lui parve che già sapesse tutto: c'era consapevolezza in quello sguardo.
La cantante inspiró profondamente e quindi gli rivolse un piccolo sorriso.
"Certo, entra pure" affermò decisa, aprendo completamente la porta, che poi subito si richiuse alle spalle.
Si sistemò meglio la vestaglia, stringendosela sul petto, si spostò i capelli dietro le orecchie e gli fece cenno di seguirla.
Si accomodarono in un modesto salotto dai toni rosati, sedendosi su due poltrone, l'uno di fronte all'altra.
Ci fu dunque un momento di silenzio: iniziare a parlare era complicato, il cuore di entrambi si faceva sempre più pesante.
"Posso offrirti qualcosa?" Domandò, con voce sottile, Ottavia dopo qualche istante, solo per rompere il silenzio.
"No, ti ringrazio" rispose lui tutto d'un fiato.
Lei annuì.
"Parla allora, ti prego."
Howard sospirò: sapeva che sarebbe stato complicato, ma ora, mentre compiva l'azione, gli pareva impossibile, perché, nonostante tutto, non voleva che Ottavia soffrisse. Non aveva colpe dopotutto, l'unico verso cui qualcuno avrebbe mai potuto muovere qualche rimprovero era lui. Quindi come procedere, come far sì che quel distacco non facesse male?
"Howard," lo richiamò lei con voce tremante e gli occhi pieni di lacrime "sei venuto a dirmi che è la fine, non è così?"
"Sì," rispose lui, e pronunciare quella parola fu come spingere un macigno enorme su per una montagna "mi sposerò presto, Ottavia, ho incontrato la mia anima gemella e per troppo non me ne sono reso conto... Avrei potuto agire diversamente, lo so, e capirò se ti arrabbierai, ma perdonami..."
"Non devi giustificarti con me Howard, non devi scusarti, perché l'ho sempre saputo che sarebbe finita così" mormorò lei, andando ad asciugarsi le lacrime usando i palmi delle mani "Una cantante d'opera e il prossimo visconte Byrne, come altro sarebbe potuta terminare? In casi come questo non può esserci un lieto fine... E poi, Howard, fra noi non è mai stato vero amore."
"Ottavia..."
"È quella ragazza, non è vero?" Gli domandò poi con dolcezza, interrompendolo "Da quando hai conosciuto lei ti sei sempre più allontanato da me, da lì ho capito che era quella giusta... Sarai felice, ne sono certa."
"E tu? Tu sarai felice, Ottavia?"
"Non lo so," sospirò lei "cercherò di costruirmi una felicità suppongo, e l'avevo capito già da un po' che non sarebbe stata con te... Tu però non sentirti in pena, perché sei riuscito a donarmi un briciolo di gioia e ciò mi basta."
Howard annuì.
"La casa resterà a te, naturalmente" disse poi, dovendo pur sottolineare gli aspetti più pratici della cosa.
"Grazie."
"No, sono io a dover ringraziare te."
Le strinse le mani e lei sorrise.
"Dunque, è un addio, ma senza rancori, non è vero?" Gli domandò, incrociando il suo sguardo.
"Senza rancori" confermò lui.

Sua madre non faceva che guardarla come se fosse stata una sgualdrina, e non le rivolgeva la parola, lasciando la casa immersa in un silenzio pauroso.
Suo padre invece non sembrava essere adirato, tutto al contrario ad Alexandra pareva quasi di scorgere una scintilla d'orgoglio in fondo al suo sguardo, ma non osava fare commenti.
Alexandra se ne stava seduta, tentando di rimanere il più composta possibile, su una poltroncina, con il cuore a batterle forte nel petto, non faceva che chiedersi quando sarebbe arrivato.
Vedeva finalmente una luce in fondo a quella galleria, era la fine di tutti quegli incubi che era stata costretta a vivere e l'inizio di ogni suo sogno. Nulla poteva andare storto a quel punto, n'era certa.
Non riuscì a trattenere un sorrisetto e proprio in quell'istante, per disgrazia, incrociò lo sguardo di sua madre, nel quale parve accendersi un rogo da inquisizione.
"Tu!" Esclamò, con il volto distorto in un'espressione disgustata "Tu, non ti rendi conto di ciò che hai fatto! Rifiutare Lord Wright! Tu che sei sempre stata senza pretendenti, osi rifiutare una proposta perfetta, decidendo così di essere la nostra rovina! Figlia ingrata!"
Alexandra serrò le labbra, imponendosi di non rispondere: era più forte di così, doveva esserlo.
"E poi dove sei stata questa notte? A venderti al primo che passa? Be', è probabile che sarà proprio ciò che sarai costretta a fare ora che hai gettato al vento le tue prospettive, non hai aspettato per iniziare a far pratica, eh?" Proseguì sua madre, con tono sempre più acido.
"Catherine!" La riprese suo padre, rosso di collera, ma con una voce così bassa e calma da far paura.
"Cosa, George? Questa disgraziata ha deciso di rovinarci tutti perché crede ancora alla stupida favoletta del vero amore! E sappiamo tutti che senza un soldo finiremo nei bassi fondi, a fare chissà che cosa per un sudicio pezzo di pane!"
"Basta, hai detto abbastanza" ordinò il barone con fermezza alla moglie, la quale parve calmarsi un poco per qualche istante, solo per esplodere con ancora più cattiveria subito dopo.
"No, non ho finito!" Gridò, andando ad affermare la figlia per il polso in una morsa così stretta, che Alexandra non riuscì trattenere un gemito di dolore. La tirò in piedi e la trascinò nel mezzo della stanza.
"Tu eri la nostra sola possibilità! Avevamo riversato ogni speranza su di te, Alexandra!" E pronunció il suo nome come si pronuncia quello di un insetto che ci fa ribrezzo "Ho sempre cercato di essere una madre premurosa, di non farti mancare niente... Dovevi fare solo questa cosa, dovevi obbedirmi, perché se così avessi fatto tutti i nostri debiti si sarebbero estinti."
"Io non sono mai stata tenuta ad obbedirti!" Rispose finalmente Alexandra, urlando con tutta la voce che aveva in corpo, piangendo, perché aveva bisogno di tirare fuori tutto "Io non ti devo nulla, madre... Conosco le conseguenze delle mie azioni e le accetterò a testa alta. Ho deciso di inseguire il mio cuore, per quanto a te sembri insensato, perché ho proprio davanti a me l'esempio di come sarei diventata se avessi scelto un matrimonio senza amore."
A quelle parole sua madre parve indemoniarsi, con uno strattone violento attirò Alexandra il più vicino possibile a sé e a pochi centimetri dal suo volto le disse, scandendo con chiarezza maligna ogni parola:
"Tu sei soltanto la prostituta del figlio del visconte."
Le tirò quindi uno schiaffo sulla guancia, che le fece voltare la testa verso sinistra.
Sulla sua pelle lattea il contorno rosso delle cinque dita che quella botta aveva lasciato impresso era ben visibile.
Suo padre si alzò in piedi e lanciò un'occhiata adirata, come quella che una folla riserva al criminale condannato a morte sul patibolo, alla moglie.
"Fuori da questa stanza, donna! All'istante!" Gridò, con un tono così arrabbiato che Alexandra si sentì tremare, e le lacrime aumentarono sul suo viso.
Rialzò terrorizzata lo sguardo e fu allora che vide, fermo sulla soglia della porta il maggiordomo, e alle sue spalle Howard: aveva assistito a tutta la scena.
Sentì le ginocchia cedere e cadde a terra.
"Mr. Byrne, Milord" annunciò il servitore con un filo tremante di voce, prima di dileguarsi in tutta fretta.
Howard fece un passo all'interno della stanza.
"Posso restare solo con Miss Hamilton?" Domandò, con calma glaciale, con quel tono che in realtà calmo non era.
"Certo" rispose il padrone di casa, afferrando senza dolcezza la moglie per un braccio per lasciare i due giovani soli in salotto.
Alexandra udì la porta che veniva socchiusa e scoppiò a piangere, con grandi singhiozzi, come se avesse avuto cinque anni.
"Mi dispiace," iniziò poi a mormorare con voce instabile, senza nemmeno sapere per che cosa si stesse scusando nello specifico "mi dispiace tanto..."
Lo sentì avvicinarsi a lei, così tanto che il suo fiato le accarezzò il viso.
"Mi dispiace, Howard..." ripetette ancora "Avrei dovuto dirtelo, avrei dovuto dirti tutto, dei nostri problemi economici... E lo avrei fatto, davvero devi credermi, che senso avrebbe avuto nascondertelo? Lo avresti scoperto in ogni caso, non appena il contratto matrimoniale fosse stato stipulato...."
Si interruppe un momento, e dalle labbra le sfuggì un singhiozzo profondo.
"Pensi forse che il mio piano fosse approfittarmi di te fin da principio? Oh, ma io ti amo... lo sai che ti amo, non è vero?" Riprese, serrando subito dopo la bocca in una linea retta, sentendo che in un istante non sarebbe riuscita a far altro che singhiozzare.
"Alexandra" la richiamò lui con dolcezza, sfiorandole il dorso della mano col pollice, ma lei, chiusa in quella sua bolla di disperazione, nemmeno lo sentì.
"Non odiarmi, ti prego, non potrei sopportarlo... Non adirarti con me, te lo avrei detto, devi credermi, ma è successo tutto così in fretta e non ne ho avuto il tempo, ma mai avrei potuto ingannarti... Perdonami, perdonami ti prego, non potrei sopportare il tuo odio..."
"Alexandra" la chiamò nuovamente, questa volta con più decisione "non sono adirato con te."
Lei sollevò lo sguardo, puntando i propri occhi nei suoi.
"Non lo sei?" Domandò piano.
Lui scosse la testa.
"Non lo sono," le disse dolcemente, andando ad asciugarle le lacrime sul viso, toccandola come se fosse preziosa, l'unica cosa importante "non hai colpe, e lo so che non hai mai tentato di trascinarmi in un inganno, so che è reale."
"Lo è" confermò lei, tirando su col naso.
Howard le rivolse un sorriso, continuando ad accarezzarle la guancia, su cui ancora era ben distinguibile il rossore causato dallo schiaffo.
"Ti fa male?" Le chiese quindi, sfiorando quella zona con delicatezza, quasi senza toccarla.
"Non lo sento quasi più, non preoccuparti" rispose, ma nel farlo interruppe il contatto visivo.
"Voglio che tu sia sincera con me Alexandra, non c'è bisogno di avere segreti... Ti fa male?"
"Sì" sussurrò, tornando a guardarlo "Brucia più di quanto potessi immaginare, nessuno mi aveva mai colpita..."
"Un panno fresco potrebbe darti un po' di sollievo" le suggerì.
"Suppongo sia così."
La aiutò a rialzarsi: era scossa e tremava leggermente. La fece sedere su uno dei divani e poi suonò per chiamare un servitore, subito una cameriera si affacciò dalla porta, scostandola di un po'.
"Avete bisogno?" Domandò cortese.
Howard le spiegò di ciò che aveva bisogno, e questa subito tornò con una bacinella d'acqua fresca e un panno, che appoggiò sul tavolino che si trovava nel centro della stanza.
Lui imbevette il panno nell'acqua, lo strizzò e con cura lo appoggiò sulla guancia di lei.
"Meglio?" Le chiese con premura.
Alexandra annuì.
Si rese conto che prendersi cura di lei gli piaceva: era un qualcosa a cui era abituato, era sempre stato il suo compito in un certo senso, essendo lui il maggiore, aveva disinfettato ferite ai suoi fratelli e cugini decine di volte, ma in quel caso era diverso. Mentre si assicurava che Alexandra stesse bene avvertiva un senso d'apprensione profondo, e il cuore farsi sempre più leggero, dopo essere stato stretto in una morsa, man mano che lei gli confermava di sentirsi meglio.
"Grazie" mormorò la ragazza, andando poi a sorreggere il pezzo di stoffa da sola.
"Non devi ringraziarmi, ci sarò sempre per te" replicò: sarebbe presto stato un suo dovere vero e proprio, suggellato da un giuramento di fonte a Dio, quello di prendersi cura di lei.
Lei gli sorrise e rimasero poi in silenzio, semplicemente guardandosi. Da fuori di certo dovevano apparire come due imbecilli, ma loro, in quel silenzio e in quegli sguardi, riuscivano a dirsi ogni cosa.
Il tempo che trascorsero in quel modo non fu misurabile: forse passò un minuto, o forse un'ora intera, non avrebbero saputo dirlo, poi Alexandra andò ad appoggiare il panno di fianco a sé e quel movimento riportò entrambi alla realtà.
Howard le si avvicinò un poco, senza però superare i limiti del decoro.
"Lo sai perché sono qui, no?" Le disse e subito le labbra di lei si piegarono in un sorriso aperto, che mise in mostra i denti perfetti.
"Credo di aver colto le vostre intenzioni, sì" replicò lei, mettendo su quel tono formale giocosamente.
"Allora avete compreso di avermi rubato il cuore, signorina?"
"Voi l'avete rubato per primo a me, non ho potuto che seguire il vostro esempio... Non ho potuto fermarmi."
Sorrisero, e lui andò a stringerle le mani con trasporto.
"Vi amo, con ogni singola fibra del mio essere... Non avevo mai notato tutta la magia di questo mondo prima di conoscere voi, non avevo mai visto realmente e spero, da adesso in poi, che mi permetterete di guardare attraverso i vostri occhi, spero che mi permetterete di camminare al vostro fianco ogni notte... Mi farete l'onore di diventare mia moglie, Miss Hamilton?" E mentre diceva questo si lasciò scivolare giù dalla seduta, mettendosi in ginocchio, tirando fuori un anello in cui era incastonato uno smeraldo: era stato l'anello che il nonno aveva regalato alla nonna quando la loro ultima figlia era nata. Al compimento della maggiore età la nonna lo aveva chiamato in disparte regalandoglielo e dicendogli che avrebbe dovuto donarlo solo al suo vero amore.
"Sì, con ogni fibra del mio essere, sì" rispose lei sentendo la propria felicità schizzare alle stelle.
Howard le posò un bacio casto sulle labbra, per poi andare ad infilarle l'anello all'anulare. Questo calzò perfettamente.
"Sembra che sia stato creato apposta per te, è del colore dei tuoi occhi" commentò Howard, accarezzando la mano di quella che presto sarebbe stata sua moglie.
"Ha una storia in particolare?" Chiese Alexandra incuriosita, intuendo che quello era un anello che doveva essergli stato tramandato da qualcuno.
"Era un regalo che mio nonno fece a mia nonna, lei lo diede a me raccomandando di farne dono alla donna di cui mi sarei innamorato... È strano, è come se qualcuno avesse sempre saputo."
"Credo che qualcosa di più grande di noi umani esista, che lo si voglia chiamare destino o in qualsiasi altro modo."
Alexandra non riuscì a trattenersi e prese iniziativa, baciando il suo fidanzato sulla bocca, lasciandolo di stucco. Rise felice, poi la porta venne aperta e quel momento fu interrotto.
"Lasciate che vi faccia le mie congratulazioni" esordì suo padre entrando nella stanza, sorridendo ad entrambi con gioia.
"Sono felice di sapere che presto faremo parte della stessa famiglia" proseguì, andando a stringere la mano ad Howard.
"Vi ringrazio, è un onore per me poter prendere in sposa vostra figlia" rispose lui, guadagnandosi con quelle parole tanto galanti tutto il rispetto di George.
"So che sarai felice," disse poi l'uomo alla figlia, andando a stringerle leggermente un braccio, in quel piccolo gesto d'affetto un po' impacciato "e ora sali e riposati un po': sono stati giorni pesanti."
Alexandra annuì, sorrise al promesso sposo, si esibì in una veloce riverenza e quindi si diresse verso la sua camera.
"Voi invece seguitemi nel mio studio, Mr. Byrne, dobbiamo discutere dei dettagli."

Spazio autore ☀️
Ciao ragazzi, eccomi con il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto 🩷
Direi che è stato bello intenso 🙃
E niente, grazie come sempre di leggere questa storia 🫶

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