Capitolo 23

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Era ormai fine giugno: Juliet era partita per l'Egitto da già un paio di giorni, lei non aveva più incrociato Howard dalla sera della cena a casa Halifax, e il caldo aveva iniziato ad impossessarsi della capitale. Qualcuno già chiudeva le case di città e preparava i bagagli, pronto a fuggire in campagna, lontano dalla calura cittadina.
La vita trascorreva lenta e annoiata, nei grandi salotti freschi, sventolandosi con grandi ventagli, si oziava parlando del più e del meno, e ad Alexandra, incastrata di giorno in giorno dalla madre in quelle inutili chiacchiere, pareva di non essere mai stata tanto sola.
La sua unica amica si trovava dall'altra parte del mare, in Egitto, ad inseguire il suo sogno, aveva promesso di scriverle, ma semmai una delle sue lettere le fosse giunta le avrebbe soltanto fatto notare quanto lei fosse impigliata fra le stupide regole della società.
Sembrava poi che i Carter si preparassero a lasciare Londra da un momento all'altro: dopotutto con Juliet sposata e perfettamente felice non c'era bisogno che loro restassero in città, sopportando quel maledetto caldo, quando sarebbero stati molto meglio in campagna. E anche Howard sarebbe svanito via, non che l'avesse più rivisto da quella cena... Fino ad allora però aveva almeno avuto la certezza che si trovasse lì, a sole poche strade di distanza, e aveva ancora potuto coltivare l'illusione...
Ora non aveva idea di che cosa avrebbe fatto.
"Miss Hamilton," la interpellò una delle giovani con cui era costretta a passare quell'ennesimo pomeriggio annoiato "è vero che Lord Wright è prossimo a chiedervi la mano?"
"Lord Wright?" Domandò Alexandra confusa, era ormai convinta che il vecchio fosse un antico ricordo, non credeva che persistesse ancora nel suo intento di fare di lei sua moglie.
"Sarebbe di certo un buon colpo per voi" disse un'altra di quelle, alzando le sopracciglia e mettendo su un sorriso di scherno.
"Dove avete sentito queste voci?" Chiese, alzando il tono della voce: non sarebbe stata l'oggetto delle prese in giro di quelle quattro oche.
"In giro" rispose la prima, stringendosi nelle spalle.
"Sì, si era anche detto, qualche settimana fa, che forse sareste addirittura riuscita a spingere all'altare Mr. Byrne... Pareva molto interessato a voi in effetti, a proposito ora dov'è?" Intervenne una terza "Oh, è vero, siete riuscita a farlo scappare, di certo a causa della vostra sbadataggine" iniziò quindi a ridacchiare, imitata da tutte le altre.
Alexandra si tirò in piedi di scatto.
"Lady Hereford, potrei andare a prendere un libro nella vostra biblioteca? Ho sentito che è una delle più belle di tutta l'Inghilterra" domandò dunque alla padrona di casa.
"Certamente" le rispose quella, forse lusingata dalle sue parole, o forse semplicemente notando quanto fosse scossa.
La ragazza ringraziò, si esibì in un'elegante riverenza, e uscì da quella stanza a grandi falcate.
Sentì gli occhi pizzicare, ma non avrebbe pianto, ne aveva abbastanza...
Aveva pianto per le scorse tre settimane e non ne poteva più.
Doveva andare avanti, lo sapeva, non poteva rimanere attaccata a quello che era il sogno d'amore di una ragazzina, ma era così difficile lasciarsi tutto alle spalle. Tutto quello era sempre stato il suo rifugio e ora che era crollato non aveva idea di che cosa fare.
Perché doveva tutto essere così complicato...
Entrò in biblioteca, si chiuse la porta alle spalle e restò immobile, avvolta dal silenzio e dall'odore dei libri. Inspirò e le parve di stare un po' meglio, immersa in quel profumo familiare.
Avanzò fra gli scaffali, e afferrò un libro a caso, rilegato finemente in pelle color smeraldo, aprì la prima pagina e si rese conto che si trattava di Amleto di Shakespeare.
"Siete diversa da quello che pensavo" le aveva detto Howard ormai quasi due mesi prima, quando l'aveva trovata nella piccola biblioteca di Hathor House a leggere quello stesso libro. Era stato da quel momento che qualcosa era cambiato, a far nascere quei bellissimi istanti passati insieme, a creare quei giorni che le erano parsi come la fiaba che tanto aveva atteso.
Senza che potesse impedirlo si ritrovò a piangere come una stupida.

"Non credo di sentirmi molto bene" mormorò a sua madre quando furono rientrate a casa.
Catherine la squadrò da testa a piedi, con la fronte aggrottata.
"Sì, in effetti hai una brutta cera" concesse, esitò quindi un'istante, inumidendosi le labbra "Forse faresti meglio a metterti a letto" aggiunse.
Alexandra annuì, salendo quindi al piano superiore, nella sua camera.
Sophie la aiutò ad indossare la camicia da notte, le raccolse i capelli in modo comodo e l'aiutò a stendersi a letto.
Chiuse gli occhi, cercando di scacciare ogni cosa, ne aveva abbastanza anche dei suoi ricordi e avrebbe voluto che non le si affacciassero nella mente, che la lasciassero in pace per qualche minuto almeno, perché non ne poteva più di rivedere proiettate nella sua testa tutte le bugie a cui aveva creduto.
Sempre così ingenua, non è vero? Ancora a credere che questo mondo sia come quello descritto nelle fiabe, pensò.
Perché doveva fare così male?
Perché non era in grado di tirare avanti? Non c'era nemmeno mai stato qualcosa di reale fra di loro, era stata tutta una sua fantasia, Santo Cielo!
Eppure non riusciva a smettere di sentirsi come se fosse stata ingannata... Be', di certo il cuore le era stato spezzato, anche se lui non se n'era reso conto.
Le parve di tornare a quella sua condizione di fantasma, di zero ignorato da tutti: si era convinta che Howard la capisse, almeno un po' più di tutti gli altri, ma era evidente che non era così.
Avrebbe voluto piangere, urlare, scalciare, fare a pezzi la sua stanza, ma rimase composta, ferma e immobile nel suo letto come una statua di marmo.
Prese poi un respiro profondo.
Si alzò, andando ad aprire un cassetto per recuperare inchiostro, penna e il suo quadernino: aveva bisogno di sfogarsi, di riuscire a spiegare i propri sentimenti, doveva scrivere.

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