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La diversità fa paura
Alla gente,è per
Questo che tendono ad
Allontanarsi dai 'diversi'

LA FINE DELL'ESTATE

Il suono delle auto che viaggiano sulle strade trafficate mi svegliano.
Il sole è già bello alto e il cielo limpido mi invita ad iniziare effettivamente il mio giorno.
Mi alzo e vado giù.
La cucina è piccola ed essenziale.
C'è un forno,dei fornelli,un piano,un frigo e un tavolo.
I miei genitori stanno ancora dormendo,ma fra un po' dovrebbero svegliarsi perché devono andare a vedere il posto dove lavoreranno e fare il colloquio.
Mi preparo un caffè amaro.
Il silenzio in questa casa non esiste.
Il chiacchiericcio delle persone e il rombo delle auto è costante.
Gli uccelli cantano,ma non come quelli che c'erano al parco di Boston.
È più una melodia stridula.
Non rilassante.
La mancanza della mia città natale si rifà sentire.
Mi metto comoda sul divano e sorseggio il mio caffè.
La città è molto bella,ma l'estate sta per finire.
Fra due giorni dovrò andare nella nuova scuola.
Sarà difficile ambientarsi in un posto dove si sono formati già dei gruppi e delle amicizie.
Torno in camera e mi fiondo in bagno.
Riempo la vasca di acqua e sapone e poi mi ci tuffo dentro.
Resto così per una buona mezz'ora e dopo mi vesto.
Jeans strappati corti e una maglietta azzurra.
Metto le mie solite Converse ed esco,portandomi le chiavi e il telefono.
Il sole mi punge subito la pelle mentre mi aggiro a caso tra le stradine della città.
È molto grande.
Giro nei parchi giganti.
Non sono come quelli di Boston.
Qui è tutto frenetico.
Gli uccellini non si fermano sugli alberi a cantare.
Le persone camminano velocemente,senza prestare attenzione ai piccoli dettagli che illuminano gli occhi dei bambini.
Mi guardo intorno e noto che c'è un solo uccellino che rimane sul ramo a cantare.
È da solo,perché diverso dagli altri.
Nessun'altro uccellino osa avvicinarsi ad una forza diversa.
Più potente.
Guardo ammaliata l'unico uccellino calmo e continuo a camminare,senza prestare attenzione a nient'altro.
Sbatto contro qualcuno.
Riporto subito l'attenzione davanti a me.
Un ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdastri mischiati a un blu cobalto mi sta fulminando con lo sguardo.
Rimango incantata dalla rarità delle sue iridi.
Mi risveglio dai suoi occhi e gli rivolgo un occhiata di scuse.
«Scusi»dico flebilmente,arrossendo in maniera indecente.
Spero di non rincontrarlo mai più.
Anche perché le possibilità di rincontrare delle persone che non conosci sono pari a 0.
Il ragazzo mi aggira e mi supera,senza più degnarmi di una sola occhiata.
Mi guardo indietro.
Però,che bel fondoschiena.
Ok,non è appropriato fare certi pensieri.
Soprattutto dopo che hai fatto una figuraccia.
Raddrizzando la schiena ricerco con lo sguardo l'uccellino celeste,ma,con mio grande dispiacere,noto che l'uccellino è volato via,in cerca di qualche altro posto dove cantare.
Cammino nel parco,girovagando senza meta.
Magari se le cose fossero andate diversamente e i miei non avessero deciso da un giorno all'altro di trasferirci dall'altra parte dell'America,adesso stavo al bar con le mie amiche per raccontarci tutto quello che ci fosse successo quest'estate(più che altro loro,io sono una noia mortale)e prepararci mentalmente all'inizio del nuovo anno scolastico.
I miei mi hanno presa alla sprovvista.
Tra tutte le cose che mi sarei aspettata,questa era tra le ultime.
Il telefono mi vibra in tasca,così lo prendo e controllo.
È un numero sconosciuto.
Controllo il messaggio e con mio grande felicità lo leggo.

Numero sconosciuto:Salve gentile signorina Wood,le dichiariamo con nostro grande onore che è stata ammessa nella scuola superiore più prestigiosa di San Francisco.
La preghiamo di venire in orario il primo giorno dell'inizio dell'anno scolastico per introdurla nella scuola.
Buona giornata,
Scuola San Francisco State Univesity.

La mia felicità è incontenibile anche se i miei genitori avevano già progettato tutto.
Da quando sono nata non interpreto altro se non la marionetta nelle loro mani.
Saltellando di gioia mi vado a sedere su una delle panchine.
Il sole scotta ancora,ma l'albero mi ripara parzialmente dai raggi solari.
Guardo attentamente tutto il parco,quando il mio sguardo si posa su due farfalle.
Una celeste e una viola.
Guardo ammaliata il loro sfarfallio,mentre giocano a rincorrersi tra di loro in mezzo all'erba,incuranti della gente che le passa affianco.
Le farfalle sono così graziose e belle.
Si dice che le farfalle siano le anime dei morti.
Un pallone le sfiora e io sento il mio cuore stringersi e battere talmente forte che la batteria a confronto si vergognerebbe.
Le farfalle volano via insieme,verso il cielo.
Ciò mi fa allentare la tensione e tiro un sospiro di sollievo.
I bambini giocano a calcio,c'è anche qualche bambina che prova a tirare in porta.
Le bambine invece sono sedute a terra con delle bambole e delle tazze per il tè.
Mi ricorda un po' la mia infanzia.
Mio nonno mi regalò un peluche a forma di lupa.
Lui mi diceva sempre che le ricordavo una lupa,poiché essa è simbolo di lealtà e determinazione.
È intraprendente e gestisce da sola ciò che la circonda.
È anche un ottima leader.
Diventò il mio peluche preferito.
Lo portavo ovunque:a scuola,al parco,in macchina e perfino dal dottore.
Parlavo con lei,mi confidavo.
Quel peluche sapeva i miei sogni più intimi,le rivelazioni più scioccanti e le realtà più tristi insieme ai fatti più crudi.
Mi fidavo di quel peluche,in quanto era l'unico a non giudicarmi.
Con il tempo mio nonno si ammalò.
La malattia continuava a prendere il sopravvento e il povero vecchietto era sempre più stanco,più esausto.
Stanco di combattere contro la morte per vivere una vita già consumata.
Così,un giorno,si lasciò andare al sonno eterno.
Morì davanti a me,con un sorriso sulle labbra.
Era pronto a lasciarmi.
Mi aveva donato la forza della lupa e le ali della farfalla.
Quei giorni furono i più difficili.
Stare senza di lui era un'agonia.
Mi mancavano le sue storie,i suoi insegnamenti,le sue mani ruvide sulle mie guance e i suoi baci gentili che solo lui era in grado di donare.
Mi mancavano quegli occhi verdi pieni di vitalità.
Era come se una parte di me mi avesse abbandonato.
E,così,buttai sopra quel vuoto una marea di polvere per cercare di placare gli istinti della lupa che era in me e i battiti delle ali della farfalla dentro di me.

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