depressione[de-pres-sió-ne]; sostantivo femminile
1. Discontinuità di livello per cui una parte risulta più bassa di quelle circostanti SIN avvallamento, abbassamento: d. del terreno || d. continentali, quelle inferiori al livello del mare e che si trovano nell'interno dei continenti
2. meteor. d. barometrica, zona di bassa pressione atmosferica, area ciclonica
3. econ. Fase recessiva del ciclo economico
4. Stato caratterizzato da malinconia, senso di vuoto, caduta di ogni interesse vitale: cadere in depressione• sec. XVIII
Era iniziata quando aveva quattordici anni, la depressione. Quando sua madre aveva iniziato a smettere di credere in lei, a pretendere la perfezione, ad infrangere i suoi sogni. Le piaceva disegnare tutto ciò che vedeva e che la colpiva. Spesso ritraeva le sue compagne di classe, perché lei le vedeva bellissime, alte, snelle. E lei si sentiva un nanerottolo grassoccio, in confronto. Ricordava bene come la matita scorreva sul foglio, o il carboncino le si sbriciolava in mano, macchiandola tutta di nero. Si ricordava tuti i disegni appesi in camera, i suoi progressi nel disegno. Gli occhi a volte troppo grossi, o le labbra troppo carnose, il naso troppo lungo, il sopracciglio troppo inarcato. E con il tempo, ogni disegno, ogni ritratto, correggeva il precedente, fino a creare qualcosa che pareva una fotografia. E con il tempo, si era ritrovata a ridisegnare sempre lo stesso disegno.Sempre lo stesso ragazzo, con gli stessi capelli e occhi neri, il viso leggermente paffuto, gli occhi leggermente a mandorla. Era sempre in bianco e nero, quel disegno. Pasticciato attorno con il carboncino. Sempre uguale. Senza colori, sempre con lo stesso sguardo. Sempre più bello. Sempre lui. Lo aveva visto in un museo, ad Adelaide. Era tra una folla di altri ragazzi, una scolaresca, forse. Scherzava insieme ai due suoi amici. Era anche lei li, in quel museo, a fare una visita didattica. Si stava annoiando a morte. Non le era mai piaciuto studiare, e faticava a stare attenta. Linee. Spesse o sottili, i disegni erano fatti di linee. I disegni sono finti, eppure, disegnare il ragazzo del museo, non era come fare altri disegni. Le linee parevano prendere vita. Ogni linea, bensì il disegno fosse sempre il medesimo, pareva vivere in un modo nuovo e tutto suo, ogni volta che la tracciava sul foglio. Viva. Nuova. Ogni linea portava in un posto nuovo. Ormai quel ragazzo era un ossessione. E c'era qualcosa, in quei ritratti, che la spingeva a rifarli, ancora e ancora. Il muro di camera sua si riempiva sempre di più degli stessi occhi neri, dello stesso sguardo spento, delle stesse labbra carnose. Poi un giorno, tornando a casa, trovò sua madre in camera sua, a strappare dal muro tutti i suoi disegni, e a buttarli in un sacco nero, spiegazzati, strappati, accartocciati. I volti perfetti erano deformi. Sognava di fare la pittrice, Rikki. Un lavoro semplice, ma unico, come le sue idee. Se lo ricordava, l'unico disegno che era riuscito a salvare, uno dei tanti 'ragazzo del museo' uno dei più recenti, una pallina accartocciata scappata dal sacco. Se lo era infilato nel diario, tutto spiegazzato. Da quella volta, Rikki non aveva più disegnato, non sulla carta, perlomeno. Non aveva più fatto un liceo artistico. Suo padre voleva facesse l'avvocato, non l'artista. Ma ne aveva davvero bisogno, quella ragazza, di sfogare le sue emozioni, in qualche modo. Usciva di notte, faceva pasticci, imbrattava i muri di graffiti. E sotto ognuno di questi, ci stava un segno, una margherita nera. Faceva graffiti assieme con gente che nemmeno conosceva, che con il passare del tempo la avevano tirata dentro anche in altri giri, loschi, tetri. La droga. Non ne era mai stata dipendente, ma comunque non riusciva a sostenerne i costi. Aveva 17 anni, quando aveva detto basta. Aveva pagato con ciò che poteva, poi era andata a cercare Aileen. Aveva preso il primo treno per Perth ed era scappata da Adelaide. Dalla città dove era nata e cresciuta. Dalla città che era stata la sua rovina, ma anche la sua cura. E chissà tutti i suoi graffiti, le sue margherite nere, dove stavano ora. Coperti di nuovi graffiti, probabilmente. Non era vero che suo padre la picchiava. Quella era solo un altra delle tante bugie che aveva raccontato ad Aileen, a Karen, a Calum, a Michael e agli altri. Perché Rikki era così, bastarda, e non poteva farci nulla. Se la ricordava bene, sua madre che " Non farai più un disegno fin che non andrai bene a scuola" sibilava. Era stata la cosa più cattiva che le aveva detto, distruggendo tutte le sue aspettative. Più crudele dei " Mi sembri stupida" quando guardava le verifiche di matematica. Tutte queste cose, Aileen non le sapeva. E nemmeno Michael, il suo quasi-fidanzato, nemmeno Calum o Karen. Erano ricordi che vivevano in lei, erano il suo tormento, i suoi errori. I suoi disegni sui muri, le sue opere d'arte sulla pelle. Strisce bianche, cicatrici. Ricordi. Sangue. Rosso. Scarlatto, dall'odore metallico. I dischi degli Iron Maiden, le prime canne. Erano tutte lame che la trafiggevano dentro, la torturavano, senza sosta. Musica. Salvezza. A sedici anni Rikki la musica la ascoltava anche in classe, mentre mangiava, prima di dormire. Iron Maiden, Metallica, Nirvana e AC/DC. La musica dei depressi, le grida di chi è muto. I lamenti, il desiderio di morte. Tante cose. Tormenti. Incubi. E come diceva anche Baricco in Novecento, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla. Era sera, perché le cose belle, vere, importanti, accadono solo di sera, quando, dopo tanto tempo, Rikki riprese in mano quel vecchio disegno. E tra lo scricchiolio della carta, un po' vecchia, Rikki si immaginò quel ragazzo cresciuto, e, si meravigliò, Rikki, dai capelli un poco verdi, di quanto quel ragazzo, sopracciglia spesse e abbastanza folte, un ghigno divertito, somigliasse a Calum. Rikki la sua storia da raccontare ce l'aveva, ma non aveva nessuno a cui raccontarla. E fu proprio quella sera, la finestra socchiusa, l'aria di novembre che smuoveva le tende, che Rikki riprese la matita in mano. Foglio nuovo, tante linee. E finalmente, dopo tanto tempo, quelle linee vivevano ancora, si intrecciavano, danzavano tra ombra e penombra. E disegnò, quella sera, Rikki. E capì, quella sera. Perché aveva disegnato lui, il ragazzo di cui era innamorata. Rikki stava nella merda più totale, divisa tra le opere d'arte sulle sue braccia, la depressione, e l'amore.
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In The Middle Of Nowhere //5sos
Fanfictionsinceramente questa storia mi fa pena ma l'ho scritta secoli fa e mi prende male cancellarla quindi niente ciao