Capitolo 18

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Grace


...e i piedi, prima così veloci

sono inceppati da inerti

radici

Apollo e Dafne





Guardai l'orologio del telefono per la milionesima volta, come se non fosse passato appena un minuto dall'ultima volta che lo avevo controllato, sembrava quasi che da quello dipendesse la mia sopravvivenza e in poche parole era davvero così.

La mi sopravvivenza a quella giornata dipendeva dalla mia puntualità, dipendeva da quella occasione, dovevo fottere il sistema, il mio cervello, il centro di comando più grande al mondo, dovevo tenerlo impegnato, perchè il mio cuore fragile non era riuscito a tenere per se la sua sofferenza e l'aveva mostrato alla persona peggiore a cui potesse mostrarlo. Quando mi ero chiusa in quella mansarda, volevo solo piangere da sola, al buio, così che nessuno potesse trovarmi, vedermi o sentirmi, ma non avrei mai immaginato che Dominic Silbergh mi avrebbe trovata, nè che si sarebbe seduto accanto a me in silenzio, senza rimproverarmi, nè tantomeno che avrebbe in qualche modo compreso il mio dolore.

Lo aveva detto lui quella sera della discoteca...eravamo uguali, i nostri corpi erano uguali e io sapevo che anche il nostro dolore era simile e a quel punto avevo capito lo fosse anche il nostro passato impossibile da dimenticare e seppellire, perchè i nostri errori erano dei fardelli troppo grandi e quel tatuaggio sull'addome ne era la prova. Il grande problema era stato rivelargli l'origine delle mie lacrime, in un momento in cui quel silenzio mi aveva cullata e le parole erano fuoriuscite come un fiume in piena senza che avessi la forza o il potere di controllarle, di fermarle, ma forse in fondo...molto in fondo era un bene, perchè ora sapevo quanto in la ci fossimo spinti, lui stesso, facendomi quella proposta, aveva ammesso di avermi reso la sua valvola di sfogo, perciò quella giornata era mia, me l'ero guadagnata e avrei fatto il possibile per evitare di pensare a quella da cui stavo scappando.

Se Arya mi avesse vista in quel momento sarebbe scoppiata a ridere, non era da me perdere tutto quel tempo per prepararmi, eppure quella mattina mi ero alzata ancora prima del previsto, svegliata dall'ennesimo incubo e ne avevo approfittato per vagliare diverse opzioni d'abito, per poi concentrare la mia attenzione sulla gonna nera che utilizzavo quando facevo la cameriera: era lunga fino al ginocchio, attillata, a vita alta e molto simile a quella che avevo visto indossare alla Silbergh quando ero andata a firmare il contratto e poi, mi faceva comunque un bel culo, perciò mi sembrò essere la scelta più adeguata; non avevo camice o camicette di chiffon tipiche di quell'ambiente, perciò indossai una semplice maglietta bianca a maniche lunghe con lo scollo a barca, fortunatamente avevo ancora la giacca nera del tailleur di Arya che non le avevo ancora restituito che sarebbe stata perfetta, l'unico problema restavano le scarpe...le mie amate converse non sarebbero state definite come adeguate, così come le stan smith bianche, perciò mi ritrovai a prendere una decisione drastica; solitamente per uscire rubavo i tacchi di Arya, ma in quel caso l'unico tacco che avevo erano un paio di decollette nere tacco 12, che sarebbero state di certo la morte per i miei poveri piedi, ma non avevo altra scelta, perciò le poggiai davanti al letto con l'intenzione di indossarle prima di uscire.

Avevo legato i capelli in una coda bassa, lasciando i ciuffi corti ricadermi davanti al viso incorniciandolo, viso che avevo leggermente illuminato con un po' di blush, del mascara e una sottile riga di eyeliner; osservai il mio riflesso allo specchio ripensando alle sue parole

Skyfall: Secrets and LiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora