Capitolo 20

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Dominic




La confusione, l'ansia, la perdita di sonno,

 la sensazione di volare a ogni passo e 

la consapevolezza di aver scoperto una galassia nuova, 

sono uno dei principali sintomi dell'amore.


Fabrizio Caramagna






L'inferno dantesco veniva descritto come un gigantesco mondo sotterraneo, creato da quello che, una volta, era l'angelo più bello del paradiso, costituito da nove gironi: l'antinferno, in cui risedevano gli ignavi; il primo girone, il limbo, da lì in poi partivano gli altri sette, cominciando dai lussuriosi, continuando poi con i golosi, gli avari, gli accidiosi, gli eretici, i violenti, i fraudolenti, i traditori e alla fine di questi, nella cavità più profonda al centro di tutto, Lucifero.

La descrizione di Dante era stata perfettamente dettagliata e la verità era che io ero eternamente bloccato nella stessa fossa del Dio degli Inferi, circondato dai gironi in cui aleggiavano i miei incubi, i miei ricordi, il mio passato e le mie colpe e in ognuno di questi figuravano volti di ogni tipo, collegati ad un momento preciso della mia vita.

La guardai, la guardai come non avevo mai guardato nessuna donna, tantomeno nel mio letto, distesa a pancia in giù, i capelli sciolti, sparsi sul letto, le gambe nude, il solco delle natiche ben visibile; se Dante l'avesse vista, l'avrebbe di certo considerata al posto di Beatrice, come sua musa ispiratrice e la stessa cosa avrebbero potuto fare anche Petrarca e Boccaccio, sembrava una Dea, la definivo più bella della Venere di Botticelli, ma anche la creatura più pericolosa al mondo, per me...

eppure, non riuscivo a collocarla in nessun girone del mio inferno, il suo viso non somigliava a nessuno di quelli che aleggiavano nella mia testa, il che, la definiva ancora più pericolosa degli altri.

Forse il modo migliore per descriverla era paragonandola alle sirene di Ulisse, bellissime, meravigliose, di una bellezza sovraumana, ammaliatrici con la loro voce, capaci di condurre l'uomo fino al loro cospetto, per poi ucciderlo...se fossi stato intelligente come Ulisse l'avrei  mandata via, l'avrei tenuta lontana, ma la verità era che Ulisse aveva resistito alle sirene spinto dal costante pensiero di tornare a casa, mosso dalla speranza che prima o poi ci sarebbe riuscito e a differenza sua, io non avevo una casa in cui tornare, non avevo nessuno che mi aspettasse e fu quello a farmi cedere al suo canto.

Quando era piombata nella mia stanza, avevo cercato di trovare la prima maschera disponibile, ma non ci ero riuscito, perchè le sue parole sembravano essere state in grado di bruciarle tutte in un colpo solo, lasciandomi inerme al suo cospetto; i suoi occhi erano stati in grado di rivelarmi la verità più crudele al mondo, quella che non mi sarei mai aspettato di sentire. 

Sapevo cosa volesse dire non riuscire a dormire, ma il non riuscire a dormire era ben diverso dall'aver dimenticato come si dormisse...ed era una cosa che io avevo fatto alcuni anni prima; non conoscevo la formula per dimenticare, ma forse quella per ricominciare a dormire forse si...almeno, con me aveva più o meno funzionato.

Vidi i suoi occhi stranirsi alla mia risposta, che sicuramente non si aspettava, come tutto ciò che era successo nell'arco di pochi minuti, ma il suo viso, i suoi occhi, mi fecero per un attimo concentrare su un altro tipo di inferno...il suo; rimase in quella posizione, con lo sguardo fisso su di me, mentre io mi alzai, per poi fermarmi ad osservarla dalla mia prospettiva

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