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Non tutti nascono
sotto una buona stella.

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Avete presente la sensazione di essere fuori posto? Come se il mondo intero fosse una scena e tu fossi l'unico attore senza copione, senza sapere dove posizionarti o cosa fare. Ecco come mi sento mentre cammino tra i sentieri della mia nuova scuola. Ogni passo rimbomba nel silenzio ovattato, ogni sguardo puntato su di me è una freccia di giudizio, ogni risata soffocata un eco di disprezzo. Non posso fare a meno di sentirmi esposta, vulnerabile, una creatura estranea in un mondo che non mi appartiene. Io sono l'intrusa.

Questo sentimento mi ha assalito fin dal momento in cui ho ricevuto la lettera che annunciava la mia ammissione alla scuola più prestigiosa del Wisconsin. La lettera era elegante, in carta pesante e con un sigillo dorato: «Congratulazioni, Evyn. Sei stata ammessa alla Hartfield Academy.» Quelle parole, che avrebbero dovuto portare gioia e orgoglio, mi hanno lasciato con un nodo nello stomaco. Sapevo che quella scuola non era per gente come me. La Hartfield Academy è il regno dei ricchi, dei nobili, dei figli di famiglie influenti e potenti. Io sono solo una ragazza di provincia, ammessa per una borsa di studio che copre ogni centesimo delle rette esorbitanti che non ho mai potuto permettermi.

Ma ho un obiettivo chiaro: la Hartfield Academy è il mio biglietto d'ingresso per Harvard o Yale. Sono determinata a sfruttare questa opportunità, indipendentemente da quanto potessi sentirmi fuori posto. Devo dimostrare a tutti, e soprattutto a me stessa, che merito di essere lì.

Il primo giorno di scuola è un turbinio di emozioni.
Ho indossato la mia divisa, un vestito sobrio ma elegante che richiamava i colori della scuola. Vivo nella speranza di passare inosservata. Ma ho presto capito che tutto ciò è un'illusione. La mia presenza è una macchia evidente tra gli studenti impeccabili, avvolti in abiti firmati e accessori costosi. Ogni volta che alzo lo sguardo, incontro occhi che mi scrutano, valutano, come se cercassero di capire cosa ci facesse una come me in un posto come quello.

Mentre mi dirigo verso l'aula principale, sento il cuore battere forte nel petto. Mi sforzo di mantenere la testa alta e lo sguardo fiero, ma dentro di me vive una tempesta di insicurezze. Le voci attorno a me sembrano distanti, come se provenissero da un altro mondo. Frammenti di conversazioni riempiono l'aria:
"Hai visto la nuova arrivata?"
"Da dove viene?"
"Non è come noi."

Entrando nell'aula, i miei occhi cercano un angolo tranquillo dove potermi sedere senza attirare troppa attenzione. Ma i posti sono già quasi tutti occupati. Finalmente trovo una sedia in fondo alla classe e mi ci siedo, cercando di concentrarmi sul libro che ho portato con me.

Non passa molto tempo prima che una voce fredda e sarcastica si fece sentire da tutti, proviene da qualche fila più avanti. «Non sapevo che la nostra scuola facesse anche beneficenza.» Alzo lo sguardo e vedo un ragazzo dagli occhi penetranti e dal sorriso beffardo che mi guarda con aria di sfida.

È impossibile non notarlo: capelli praticamente bianchi, decolorati, occhi altrettanto scuri e profondi che sembrano scrutarti l'anima. Sul braccio sinistro si intravede un tatuaggio, solo parzialmente coperto dalla manica arrotolata della camicia, mentre un piercing brillava sul sopracciglio destro. Ha un'aria ribelle, ma anche un carisma innegabile. Il suo aspetto contrasta nettamente con l'ambiente elitario e formale della scuola, eppure sembra essere al centro dell'attenzione.

Sento il sangue ribollire nelle mie vene, ma cerco di mantenere la calma. Non voglio dargli la soddisfazione di vedere quanto mi avesse ferito. Abbasso lo sguardo sul libro, sperando che avrebbe perso interesse e mi avrebbe lasciata in pace. Ma lui non sembra intenzionato a lasciar correre.

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