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Dopo ore di viaggio, finalmente intravediamo lo skyline di New York all'orizzonte. Le luci della città risplendono in lontananza, un contrasto vivace rispetto all'oscurità che ha accompagnato il nostro tragitto. Valtor, con una mano sul volante e l'altra all'orecchio, è impegnato in una conversazione telefonica. La sua voce è bassa, concentrata, come sempre. Non riesco a capire molto, ma di tanto in tanto capto frammenti di parole che mi lasciano con più domande che risposte.

Osservo fuori dal finestrino, cercando di distrarmi, ma non riesco a evitare di chiedermi dove ci stia portando. Dato tutto quello che è successo, mi ero preparata mentalmente a finire in un qualche hotel nascosto, oscuro, lontano dagli occhi indiscreti.

«Sì, ci sono quasi. Sarà tutto pronto quando arriviamo?» chiede Valtor al telefono, con quel tono che non ammette esitazioni.

Il traffico comincia ad aumentare man mano che ci avviciniamo al cuore della città, e le strade si fanno più affollate. Cerco di capire la direzione in cui ci stiamo dirigendo, ma ogni quartiere mi sembra uguale, finché non imbocchiamo un viale elegante, illuminato da lampioni dorati e costellato di edifici di lusso.

La macchina rallenta davanti a un enorme hotel, e mi ritrovo a fissare l'ingresso, incredula. Le porte sono di vetro e ottone lucido, illuminate da un enorme lampadario che scintilla come un gioiello. Il portiere, impeccabilmente vestito, ci aspetta accanto a un tappeto rosso che conduce all'interno.

Valtor termina la chiamata e mi lancia un'occhiata rapida, come se potesse leggere la mia sorpresa.

«Non te lo aspettavi?» chiede, con un accenno di sorriso che gli incurva appena le labbra.

«Onestamente, no. Credevo ci saremmo nascosti in qualche buco nel muro,» ammetto, ancora confusa. «Non è esattamente quello che immaginavo come un posto sicuro.»

Valtor parcheggia l'auto e spegne il motore, ma rimane al suo posto per un momento, guardando dritto davanti a sé. «A volte il miglior nascondiglio è proprio sotto gli occhi di tutti.»

Scende dalla macchina e un valletto si affretta a prendere il volante, mentre Valtor si avvicina al mio lato per aprirmi la portiera. Gli lancio un'occhiata confusa, cercando di interpretare le sue intenzioni. Come fa a comportarsi così con nonchalance, come se tutto questo fosse perfettamente normale?

«Vieni, sarà una lunga notte» dice, facendo un cenno verso l'ingresso dell'hotel.

Sento le gambe quasi vacillare mentre mi alzo dalla macchina, l'eleganza dell'hotel mi schiaccia. Questo non è certo un posto per nascondersi. Ma forse, proprio per questo, nessuno ci cercherà qui.

Entriamo nell'hotel e veniamo subito accolti da un silenzio elegante, rotto solo dal lieve tintinnio di bicchieri nel lounge bar alla nostra destra. Il pavimento in marmo lucido riflette le luci dorate, e l'aria profuma di fiori freschi e legno pregiato. Valtor si avvicina alla reception senza perdere tempo, scambiando poche parole con la donna dietro il bancone.

Nel frattempo, io guardo in giro, ancora incredula. È tutto così diverso da come mi aspettavo. Dopo gli ultimi giorni, pensavo che saremmo finiti in un luogo oscuro, nascosto, senza il minimo lusso. E invece... siamo qui. È surreale.

«Ecco la chiave, sig. Valtor,» dice la receptionist, porgendogli una carta magnetica. Lui la prende senza battere ciglio e si volta verso di me, facendo un cenno con la testa.

Lo seguo fino agli ascensori, e quando le porte si chiudono dietro di noi, mi viene in mente una domanda. «Quante camere hai prenotato?» chiedo, un presentimento sgradevole che mi serpeggia in testa.

Lui mi guarda di sfuggita, con un sorriso che sembra già conoscere la mia reazione. «Una.»

Mi fermo a metà respiro, cercando di mantenere la calma. «Una sola camera? Stai scherzando, vero?»

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