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La musichetta nell' ascensore mette solo un peso in più tra di noi. Il silenzio è quasi imbarazzante, ma penso di averlo percepito solo io.
Valtor è pienamente concentrato sul telefono.

Cerco di non pensarci, ma il senso di disagio mi avvolge. Ogni tanto lancio occhiate fugaci a Valtor, sperando che mi guardi o dica qualcosa, ma niente. Lui è lì, con la sua espressione impassibile, perso in chissà quali conversazioni segrete. Mi sento piccola, quasi insignificante, di fronte alla sua capacità di restare distaccato.

L'ascensore sale lentamente, il tempo sembra rallentare. Le pareti di metallo riflettono la sua figura, impeccabile come sempre, mentre io mi sento come se stessi cadendo a pezzi.

«Tutto bene?» domando, sperando di rompere la tensione, ma la mia voce suona più insicura di quanto volessi.

Valtor alza gli occhi dal telefono solo per un istante, poi annuisce con un breve cenno, tornando subito alle sue notifiche.

Il suono dell'ascensore che si ferma è l'unico sollievo, anche se temporaneo. O almeno così pensavo.

Le porte dell'ascensore si aprono davanti a una sala colma di persone dall'aspetto impeccabile e sofisticato, tutti potenti e influenti. Il brusio delle conversazioni si mescola al tintinnio dei calici, ma tutto sembra distante mentre il mio cuore batte sempre più forte. Non riesco a fare il primo passo. Mi blocco, incapace di muovermi.

Valtor, notando la mia esitazione, si gira verso di me, lo sguardo determinato. Senza dire una parola, mi afferra per la vita, facendomi sussultare. Il suo tocco, sicuro e possessivo, mi costringe a seguirlo fuori dall'ascensore.

«Non pensare a loro, sono esseri insignificanti che ci servono solo per il nostro scopo,» mi sussurra all'orecchio, la sua voce profonda che mi fa tremare.

La mia paura si trasforma in una strana forma di tensione, il suo fiato caldo sulla mia pelle mi distrae da tutto il resto.

«Pensa piuttosto a quello che potrei farti stanotte,» aggiunge con un tono oscuro e seducente. Un brivido mi percorre la schiena, mentre cerco di mantenere il controllo di me stessa, anche se ogni suo tocco sembra volerlo portare via.

Il respiro di Valtor si fa più pesante mentre si avvicina al mio collo, il suo naso sfiora la mia pelle e un brivido mi attraversa. Senza preavviso, lascia un bacio umido e lento proprio sotto il mio orecchio, facendomi trattenere il fiato.

Sento la sua lingua sfiorare appena la mia pelle, come se volesse imprimere il suo marchio su di me. Mi irrigidisco, incapace di capire se quel gesto mi spaventi o mi ecciti.

«Sei mia, Evyn.» mormora, quasi impercettibilmente, prima di allontanarsi leggermente. Poi, senza darmi il tempo di riprendermi, mi guida con decisione verso gli ospiti della cena.

La sua mano rimane salda sulla mia vita, quasi a voler ricordarmi che non ho scampo. Ogni sguardo nella stanza sembra cadere su di noi, ma la sicurezza con cui mi conduce mi fa sentire al sicuro, almeno in apparenza.

Nonostante il tumulto dentro di me, provo a mascherare la mia ansia. Accanto a Valtor, sembra che nulla possa toccarmi, nemmeno la folla di persone potenti che ci osserva. Ma le sue parole e quel bacio lasciano un segno indelebile, come una promessa non detta che forse si realizzerà presto.

Mentre ci avviciniamo al centro della sala, una voce giovane e carica di entusiasmo rimbalza sopra il brusio.

«Valtor! Amico, sei proprio tu?» Un ragazzo sulla ventina, con un sorriso sornione e occhi troppo vivaci per i miei gusti, ci raggiunge. Indossa un completo elegante ma dall'aria casual, con la cravatta allentata e un'aria troppo sicura di sé. «Non posso credere che tu sia qui!» esclama, dando una pacca decisa sulla spalla a Valtor.

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