Capitolo 22 - Chi non voglio più essere

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Lasciata Deja a Cornigliano, Damian proseguì per il suo appuntamento.

Osservandola attraversare la strada, dallo specchietto retrovisore, tornò a pensare a cosa era successo in doccia.

Come la mattina sullo yacht e come la sera precedente durante la punizione, lei era riuscita a sorprenderlo. Era passata dall'essere ostile a remissiva in pochi attimi, dall'opposizione alla sottomissione. Una ribelle e poi una schiava. Era stato inaspettato, eccitante, l'aveva lasciata fare e si era goduto tutta la dedizione che lei ci aveva messo.

Dopo non si erano detti niente. Usciti dal bagno, era stato quasi come se tra loro non fosse successo niente. Quasi.

Deja aveva ritirato la consegna degli ordini dal fattorino mentre lui apparecchiava. Si erano seduti e avevano mangiato. Avevano parlato dell'organizzazione del pomeriggio, commentato il pranzo. Solo nei silenzi aveva colto la differenza, negli sguardi che si erano scambiati. In quel non detto, gli era sembrato che Deja fosse sorpresa quanto lui da ciò che era accaduto.

Guidando assorto, Damian valutò le sue prossime mosse con lei. Erano ancora agli inizi del suo addestramento, ma si iniziava a vedere la schiava che sarebbe potuta diventare. L'avrebbe messa alla prova, testato la sua ubbidienza, forzato piano piano i suoi limiti. Intendeva continuare a educarla e magari avrebbero potuto riprendere quella sera stessa.

L'idea di averla sotto il suo completo dominio gli provocò una subitanea erezione. Provò a dominare il suo desiderio, ma continuava a vedere gli occhi di Deja che lo sfidavano, che cedevano e si facevano languidi. Non riusciva a togliersi dalla testa come l'aveva vista sotto la doccia. Sottomessa e desiderosa di compiacerlo.

Per distrarsi, si concentrò sul suo appuntamento. L'idea di cosa lo attendeva non gli piaceva.

Robbi era riuscito a scoprire il nome dello strozzino che teneva per le palle il fratello di Deja e lui intendeva incontrarlo. Siriano Biratti, detto Sorce, era l'uomo che aveva portato Deja e suo fratello Jack da lui, e che li aveva messi nella condizione di non avere scelta. Era stata una fortunata casualità, ma negli affari le cose non andavano mai lasciate troppo al caso. Quando Sorce fosse tornato a riscuotere, Jack avrebbe potuto esser di nuovo a corto di soldi. Le conseguenze di quell'evenienza andavano gestite. Non voleva casini che avrebbero potuto coinvolgere il suo investimento su Deja. Lei aveva accettato tutto per tenere al sicuro la sua famiglia, ma se Jack o Gaia si fossero fatti male le cose sarebbero potute cambiare.

Ma non era quello a creargli problemi. Conosceva gli uomini come Sorce, sapeva come ragionavano e non aveva grossi dubbi che avrebbero trovato un accordo soddisfacente per entrambi. Quello che lo innervosiva era il luogo dell'incontro.

Sorce passava il suo tempo in uno dei tanti bar del quartiere del Prè e conduceva i suoi affari in un piccolo ufficio al piano superiore. Era uno dei tanti bastardi che si nascondevano nelle ombre del vecchio quartiere, un luogo che nella memoria di Damian odorava di interiora di pesce e sigaro e che lo riportava indietro, in un passato con cui non voleva avere niente a che fare.

La voce impastata d'alcol di sua madre, le mani pesanti di suo padre, la rabbia che lo aveva consumato per tutta l'adolescenza. Era tutto ancora intrappolato tra quelle strade, ma al tempo stesso non c'era più niente a legarlo a quel posto. Nemmeno il suo nome era più lo stesso.

Era un altro quando aveva iniziato a fare i suoi primi soldi facili nel retro di una pescheria. Tra le vie strette che scendevano al porto aveva imparato a picchiare e a guadagnarsi il rispetto. Faceva ciò che gli veniva ordinato, senza fare domande, e nel tempo libero giocava a carte. Poi, una sera sfortunata al tavolo, aveva conosciuto Malèna.

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