𓆩XLV𓆪

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Disteva sul letto con lo sguardo smarrito nel bianco del soffitto, e le orecchie cullate dalle risate vivaci dei bambini che correvano per i corridoi.
Tonfi, urla e schiamazzi accompagnati dal soffice tono autoritario della madre, che li avvertiva del pericolo nel correre per casa.

Si domandava se pure lui un giorno si sarebbe trovato a rimproverare e rincorrere bambini, non si vedeva proprio calato in quei panni, non riusciva ad accogliere e concepire l'idea di essere un genitore.

Guardò le proprie mani, ora vuote, ma che ben presto avrebbero accolto due piccoli corpicini magri e indifesi.
Loto e Viola? Oppure Rosa? O magari, Dalia?

Si accarezzò la pancia, e mentre scorreva la mano, uno dei gemelli scalciò, annunciando il proprio risveglio.
Giglio non provò nulla, non fremette di alcuna emozione, quel calcio non gli provocò niente. Continuò ad accarezzare, e man mano che le dita scorrevano delicatamente, senza che se ne rendesse conto, cominciò ad arare con le unghie. Ben presto, le delicate carezze diventarono aggressive e la pelle si sfumò di rosso.

Sentiva la creatura contorcersi dentro di lui, scalciare, comunicare, ridere e respirare. Il suo vagito lo assalì fino il collo, gli piegò la spina dorsale e dai suoi occhi stillò lesta una lacrima, che gli rigò il volto e scivolò giù per l'orecchio.

Arava, strizzava e pizzicava, convinto che sarebbe riuscito ad aprire la propria pancia ed esportare con le proprie mani i gemelli.

"Li getterò nel fiume, e poi, mi getterò con loro"

Pensò.

"Li seppellirò nella terra, il più vicino possibile all'inferno. Li priverò di ogni attenzione, così partiranno fino a desistere".

Ogni pensiero giungeva dal suo cuore debole e scarno, ogni pulsazione sembrava avvelenare i bambini, soffocati nell'odio del genitore tra le sue morbidi e calde pareti, che piuttosto che cullarli sembravano bruciarli, graffiarli come uno strato abrasivo.

Ma ogni male che meditava per loro, venne improvvisamente soffiato via dall'arrivo di Walter.

Era tornato dalla propria casa, passato per accertarsi che i loro animali stessero bene, aveva riempito le loro ciotole e portato a spasso il cane come ogni pomeriggio e notte.
Era giunto nella stanza per stare assieme il compagno, e avvertirlo della notizia che aveva ricevuto da poco mentre sulla via di ritorno.

Si sedette accanto a lui, Giglio lo guardò e lo salutò con un cenno del capo.
La mancanza di sorriso e calore da parte di entrambi gelò la stanza, si limitarono a guardarsi.

«Come stai?» Chiese Walter, massaggiando la caviglia del compagno. Quest'ultimo sospirò pesantemente, dopodiché sbadigliò.

«Stanco» rispose, grato che i pensieri fossero testi senza voce e suono. Se ciò a cui aveva pensato prima avesse avuto una canzone, il suo amato avrebbe pianto fiumi e si sarebbe sicuramente pentito di avergli chiesto la mano.

«Mio padre avrebbe il piacere di vederci entrambi» dichiarò il vampiro.
«E perché?» rispose Giglio, preoccupato che si trattasse della gravidanza.
«Non ne ho idea» rispose Walter, timoroso quanto Giglio.
«Credi che sia per la gravidanza?» chiese, ma nuovamente Walter, dichiarò di non conoscere la ragione per cui il padre volesse vederli.

«E quando?»
«Per pranzo»

Giglio titubò, nessuno dei due aveva idea sul motivo della convocazione, tuttavia, temevano lo stesso medesimo pensiero.
Vittorio non li aveva invitati di certo per bere del tè assieme, o per chiacchierare sul cambio delle stagioni o delle calamità del mondo.

«E se rifiutassi?» osò domandare, e Walter, che conosceva suo padre, consigliò a Giglio di non pensare nemmeno di rifiutare l'invito, poiché ogni richiesta da parte del genitore, era in realtà un ordine.

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