𓆩XV𓆪

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Giunsero al cospetto di un'illustre dimora preservata da una fitta e alta vegetazione rigogliosa, la struttura sorgeva sopra un colle come un palazzo reale, baciato dal chiarore della luna piena che appariva in cielo come un diamante.

Custodita da una grande e lunga recinzione in metallo zincato, per scoraggiare chiunque meditasse di invadere la dimora. Entrambi i pannelli erano aperti, e come Walter li varcò con la propria auto, erse un soddisfacente rumore croccante.

Il cortile era vestito di sassi, ma c'era un breve e grazioso viottolo in pietra che guidava dritto alle scale dell'entrata della villa da dover prendere a piedi.
Giglio osservò curioso dal finestrino, come un bambino che osservava la neve cadere, non aveva mai visto una casa così tanto grande in vita sua.

Si potevano vedere dalle grandi porte ad arco in vetro, la moltitudine di persone presenti all'interno della villa.

Fu allora che Walter condusse le mani tra i capelli, realizzando l'errore compiuto e il rischio a cui stavano per correre in contro.

«Che succede?» chiese Giglio, ancora distante dalla realtà, poiché troppo ammaliato dalla bellezza vittoriana del posto.

«La tua immagine si rifletterà perché dentro c'è luce» rispose Walter, facendo per andare in panico, ma si ricompose, poiché gli sorse subito in mente un'idea brillante.

Non la condivise con Giglio, ciononostante quest'ultimo si fidò e non chiese nulla al riguardo.

Camminarono con le spalle leggermente unite una contro l'altra verso la casa, seguendo l'aroma di cera e ceneri cosparse sui pavimenti in calce.
Salirono le brevi scale e quando giunsero dinanzi al grande portone, Giglio annusò con piacere l'intreccio di rose che decorava la porta.
Profumavano proprio bene.

La porta fu aperta nonché meno dalla madre di Walter, che fu molto contenta di vedere il proprio figlio. Alla sua vista ampiò le braccia per accoglierlo in un caloroso abbraccio, ma il figlio lo respinse a stento e si dipinse un'espressione di disapprovazione sul suo volto.
Nel mentre Giglio restò protetto approssimato alla soglia della porta, sapendo che il più piccolo riflesso di vetro lo avrebbe tradito.

«Madre, ti avevo detto che voglio le vetrate coperte, tirate le tende» lamentò Walter.
La madre si fece confusa, guardò le vetrate e non ci vide nulla di male in esse. Ma il figlio insistette e disse che le voleva coperte.

«Non voglio che tutto il quartiere sappia che faccio trecentoventidue anni, copritele insomma»
La madre, anche se perplessa, non fece domande e accontentò il festeggiato, dando l'ordine di coprire le finestre con le lunghe e pesanti tende.

Walter e Giglio sospirarono sollevati, ora non dovevano preoccuparsi più del suo riflesso.

Entrarono nella sala, dove vitalità e scale di colori scuri ed eleganti regnavano in equilibrata armonia.
Il rosso era il colore dominante, poiché non solo si trovava nei calici e sulle labbra delle signore, ma anche sul morbido tappeto che vestiva le scale che conducevano a un secondo piano superiore, alle rose poste in fragili vasi lungo i margini delle pareti, anch'esse di un rosso più intenso.
Il pavimento era tetro come i manti scuri dei giovani uomini presenti, vestiti con capi di un'epoca distante e dimenticata.
Giglio alzò poi lo sguardo al grande e maestoso lampadario a candelabro che pendeva sulle loro teste, i lumi delle candele danzavano sotto lo scorrerere e il pizzichio delle corde degli strumenti armeggiati con cura ed esperienza dagli abili musicisti seduti in fondo alla sala, la loro musica scaldava e accompagnava le voci e i passi dei presenti.

Risate, brindisi e bollicine di champagne.

Da ogni angolo giungeva una curiosità per ciascun senso.
Dal profumo dei pungenti aromi spruzzati sulle pelli, alle delicate tovaglie usate per vestire le tavole dei banchetti.

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