𓆩XXII𓆪

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Il ticchettio della lancetta dell'orologio appeso alla parete, era tutto ciò che si poteva udire dentro quelle quattro fresche pareti pitturate di rosso. Seguito da un leggero fruscio del latte caldo provocato, dalle labbra fine del ragazzo che vi ci soffiava sopra per raffreddarlo.
Reggeva la tazza tra le mani verso il viso come se viveva dell'essenza di quel fluido secreto, lo sorseggiava poco a poco, per poi leccarsi i baffi e fissare il nulla.

Il silenzio tra lui e il vampiro era mortale, quasi straziante. Walter voleva parlare, interrogarlo e fare uscire da quelle labbra da bebè più che dei sorsi e soffi.
Giglio con l'unghia del dito medio mutilava la pellicina attorno l'unghia dell'indice, e i suoi piedi non cessavano di sfregarsi, e involontariamente, senza nemmeno accorgersene perlopiù, mormorava a mente petulanti lamenti che irritavano Walter.

«Ne vuoi parlare?» domandò, passandosi l'asciugamano tra l'orecchio e i capelli.

«Come mi hai trovato?» rispose Giglio.
«Hai un odore unico, uno tuo. E io l'ho seguito» disse, ma poi guardò il ragazzo, gli calò leggermente la tazza dal viso e gli chiese.

«Giglio, perché volevi farlo?»


Giglio non osò guardarlo, si sentiva gravemente reciso di colpa.

«La verità è che nemmeno a mia mamma piaccio...» rispose «Io non piaccio a nessuno, e lo sento e mi fa tanto, tanto male...»
La sua voce venne spezzata da un singhiozzo, susseguito subito dopo da un altro e un altro ancora.

«Mi guardo allo specchio e non mi vedo più, non mi piaccio e...» pianse disperato.

Walter allontanò la tazza dal ragazzo, l'appoggio sul tavolino centrale del soggiorno, si avvicinò poi a lui e gli posò una mano al ginocchio.

«Non dire così, tua madre ti vuole bene» consolò.
«No, l'ho sentita. Lei non mi ama, non più. Vorrebbe che io tornassi come prima, quando ero infelice e...»
Ma il ragazzo era fin troppo affranto per riuscire a finire la frase, non aveva forza per poter comporre le note del suo cuore avvilito. Era pesantemente compresso dentro un tubo sottile, non sentiva nulla fuorché scomodità e freddo.

Walter guardò le lacrime del ragazzo che uscivano dai suoi occhi senza confine, scivolavano sulle sue guance e tra le sue mani sottili.

«Quando ti ho visto in quella biblioteca, Giglio, io ho veramente visto e provato qualcosa» confessò.

Walter lo guardò dritto negli occhi, quasi come se ci volesse cadere dentro ed essere assorbito in quel nero.

«Sei un ragazzo veramente meraviglioso, sia fuori che dentro. So poco di te, ma il poco che ho visto è bastato per farmi...»

Ma la sua lingua restò sospesa, poiché non riusciva a trovare la parola giusta per poter descrivere quello che aveva visto dentro Giglio. Era estraneo al suo vocabolario, tale emozione non poteva essere scritta. Così rinunciò, lo lasciò dire ai suoi occhi, che restavano prospetti a quelli del ragazzo.

«Io ho sbagliato, non ti ho trattato come meriteresti. Avrei dovuto gestire tutta la situazione meglio, senza farmi prendere troppo dal panico. Non avrei mai dovuto tenerti come un ostaggio, ferirti verbalmente e fisicamente e...»
Gli occhi di Giglio si illuminarono come uno stagno sotto il fulgore della luna, e per la prima volta, era possibile poter scorgere le sue pupille.

«Tu hai davvero sofferto abbastanza, e capisco che tu voglia farla finita. Ma te lo chiedo per favore, dal profondo del mio cuore, resta in vita.
Io sono un vampiro, ho visto molti volti invecchiare, scomparire e andare. Ma il tuo, Giglio, io desidero poterlo vedere sempre»

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