𓆩XXV𓆪

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Era giunto a casa nel cuore pulsante della notte, facendosi via dalla porta sul retro, la cui chiave giaceva sotto lo zerbino.

I suoi genitori lo avevano udito entrare, Roger ne era assai adirato, ma riuscì a farsi convincere dalla moglie di reagire solo una volta sorto il sole.

E così fu, quando esso si sollevò per emanare sulle alture il proprio brio, Roger si issò dal letto come un soldato prossimo a spargere il proprio sangue sulla sabbia del terreno nemico.

Senza latte e biscotti nello stomaco, così avrebbe confrontato il ragazzo, poiché ciò che aveva dentro di sé aveva occupato gran parte del suo corpo.

Giglio nel mentre, si trovava in bagno a prendersi cura del proprio volto, per asciugarlo dalla tristezza del giorno precedente. Si stava passando il panno sulla faccia quando suo padre si precipitò come una tempesta nel bagno. Non lo colse nudo, ma per naturale istinto e memoria, avendo il petto scoperto, erse entrambe le braccia all'altezza del petto e si coprì laddove un tempo c'era il suo seno.

Non fece nemmeno in tempo a chiedere che cosa stesse succedendo, che il genitore lo prese per i capelli e lo condusse fuori dal bagno.

«Ora ne ho veramente abbastanza, vieni qui!»
Lo stringeva strettamente per una ciocca, mentre lo trascinava verso camera sua.
«Auch! Papà, papà lasciami mi fai male! Papà!» strillava.

Roger lo scaraventò di peso sul letto della cameretta, e lo assalì con il suo dito giudiziale.

«Esci ed entri quando cazzo te ne pare senza dire assolutamente nulla né a me né alla tua povera madre! E non rispondi al telefono, non contribuisci con le spese! Ma chi cazzo pensi di prendere per il culo! Tua madre ha quasi preso un infarto l'altro ieri! Non te ne frega proprio niente di nessuno se non di te stesso e il cazzo di quel puttaniere che ti sei trovato!» Sbraitò colmo d'ira.

Giglio sollevò lo sguardo alla madre, che se ne stava ad assistere all'uscio della porta. Ma poi trovò il coraggio per avanzare verso il marito e il figlio, e disse.
«Ti ho chiamato tutta la notte, eri irraggiungibile. Ci siamo pure rivolti alla polizia ma non hanno potuto fare nulla perché sei maggiorenne ormai»
Margaret aveva ancora il cuore scosso, non aveva dormito e nemmeno mangiato nei giorni in cui Giglio si era assentato.

Roger sospirò, guardò Giglio e lo soffocò di odio.
«Io adesso ne ho veramente abbastanza di te ragazzo, prepara le tue cose ed esci da questa casa, non me ne importa dove vai ma ti proibisco di fare ritorno»

Ma Giglio non osò flettere nemmeno il muscolo della palpebra, restò immobile a sedere sul letto.
«Mi stai ascoltando? Sto parlando con te!» disse Roger, alterato dall'assente risposta del ragazzo.
Non poteva più ingoiare, non poteva più masticare le pietre. Ordunque se le parole non avevano abbastanza potere sulla testardaggine del ragazzo, cedette alle sue larghe e grosse mani la parola.

Cominciò a percuotere il ragazzo con pesanti e scottanti sberle sul volto, procurandogli un colorito che gli donava assai al volto.

«Ti voglio fuori da questa casa ora!» Sbraitò, continuando a colpirlo.

Margaret dopo l'ennesimo schiaffo si fece avanti e si pose tra il padre e il figlio, ponendo fine al castigo del ragazzo. Ma ormai il danno era già compiuto, entrambe le guance di Giglio erano rosse e pulsanti come ciliegie cotte.
I capelli suoi scompigliati dalla raffica di sberle, cascavano sul suo volto coprendogli un occhio, il resto si trovava all'aria e leggermente sulla destra.

Allorché si erse dal letto, dando l'impressione che gli schiaffi avessero dato buon frutto.
E sì, lo avevano di certo dato. Ne avevano dato uno velenoso, marcio, nero.
Giglio guardò il padre, e senza un briciolo di paura lo percosse.

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