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Distevano entrambi sul letto della piccola stanzetta di Dalia, un prezioso risultato di tanto sudore e risparmio.

Ma non odorava di sangue e fatica, bensì di raffinato zucchero filato, cotone e incenso.

Fissavano il soffitto come lo schermo di una televisione, persi in pensieri e ricordi.
Avevano entrambi servito l'ultimo cliente della serata, un generoso uomo pensionato che trovava conforto e sollievo nel tabacco e nel fascino delle due ragazze.

«Giglioa, pensi mai alla gravidanza?» chiese Dalia.
«Lo sai che non posso» rispose quest'ultima.
«Certo, lo so. Ma non mi hai mai detto se ciò ti fa' stare male» ribatté Dalia.

Gigliola sollevò le spalle e sospirò, non aveva una risposta in serbo per quella domanda a cui mai aveva pensato.
La gravidanza per lei era un concetto irrealizzabile, qualcosa appartenente solo agli altri ma non a lei.

«Da bambina il mio sogno era di diventare mamma» confessò Dalia.
«Una mamma?» replicò Gigliola, ignara di questo desiderio dell'amica.
«Avere tre figli, un marito e due cani» narrò contenta, guardando il soffitto, e vedendo in esso il riflesso del suo futuro.

«Il pensiero di avere in pancia un essere umano mi impressiona, è assurdo. E poi una mamma, io? Giammai, non ne sono capace» disse Gigliola.

«E dove ti vedi in futuro? Con chi?» chiese Dalia.

E nuovamente Gigliola titubò, non aveva una risposta nemmeno per quest'altra domanda. Non se l'era mai posta, nemmeno quando sotto la doccia o seduta sul gabinetto con i gomiti sulle cosce.

Fissò il soffitto, ma non vide il riflesso di nessuno futuro. Nessun uomo accanto da amare e da cui essere amata, nessun figlio e nessun animale domestico.

«Non lo so...» disse.
«Io ci penso spesso al mio matrimonio, in quel giorno, voglio indossare un abito favoloso»  disse Dalia.

«Sarai meraviglia, e io ti reggerò il velo» rispose Gigliola, ma Dalia la guardò e le disse che non avrebbe retto il suo velo in quel giorno.
«Tu mi condurrai all'altare» disse.

Il cuore di Giglio si intenerì calorosamente, guardò la sua amica e sorrise.
«So che non hai genitori, ma accompagnarti all'altare è troppo. Chiedi a un tuo cugino» ribatté.
Ma Dalia scosse il capo e unse quanto detto già, voleva che fosse Gigliola ad accompagnarla verso il suo futuro sposo.

«Non ho più una famiglia in brasile Gigliola, sei tu la mia famiglia»

Le due ragazze si abbracciarono e Gigliola terse la spalla dell'amica con le proprie lacrime.

«Mia madre sarebbe felice all'idea che io mi sposassi, ma a volte mi guardo allo specchio e penso "chi sposerebbe una puttana"?» singhiozzò.

«Fidati, ne ho conosciute molte di puttane e molte di loro sono sposate» consolò Dalia, ed entrambe si scambiarono un simpatico sguardo, riconoscendo immediatamente a chi si stessero riferendo.

«Non devi nemmeno fare nomi» ridette Gigliola.

«Vedrai, ti sposerai con un fottuto milionario europeo, e sarai così ricca che userai le banconote per coprirti la bocca quando sbadigli»

«E poi insieme gli rubiamo tutti i soldi e fuggiamo in un isola alle Caraibi» concluse Gigliola.

«E poi ci arresteranno e finiremo per ispirare qualche serie americana»

«Cazzo, si vede che siamo sfinite»
Le due ragazze ridettero assieme, si asciugarono le lacrime e pensarono quanto fosse sciocco tutto ciò che avevano appena detto.

«Comunque ero seria, Gigliola. Troverai un uomo, un uomo vero» disse cogliendole la mano, deglutì e si schiarì la voce. Gigliola la guardò, era davvero seria.
«Non come i porci con cui abbiamo a che fare, quelli non sono uomini»

«E noi allora, che cosa siamo? Se quello che facciamo è servire i porci?»

Quella domanda lasciò Dalia confusa, dalle sue labbra non uscì nulla se una lettera trattenuta a stento.

Pensò che forse Gigliola aveva ragione, nessun vero uomo avrebbe preso in moglie una servitrice di porci.
Il riflesso del futuro sperato s' infangò nell'amara verità, ma si contenne e pretese di non esserne affatto ferita.
Oramai aveva preso una scelta e compiuto atti da cui non si sarebbe potuta pulire, né saponi o preghiere l'avrebbero fatta tornare alla fanciulla immacolata di una volta.

«Beh, Cenerentola parlava ai topi e nutriva gli animali. Eppure il principe l'ha sposata. Biancaneve sgobbava in un cottage e viveva con sette uomini, eppure anche lei alla fine ha trovato il vero amore» disse Gigliola, realizzando che forse non erano solo delle puttane.

«Siamo principesse» disse.

Dalia la guardò sorridente, quella nuova prospettiva aveva incoronato il suo futuro di speranza e il suo cuore di fede.
Potevano ancora trovare il vero amore, era là fuori, in attesa di entrambe.

«Tu semmai sei la principessa sul pisello» ridacchiò Dalia, e Gigliola in risposta la colpì in volto con un cuscino.
«Se è quello del signor Dankan va bene» rispose, il signor Dankan era un uomo che per tapparsi la bocca durante lo sbadiglio usava le banconote.
Era una vera gallina dalle uova d'oro per le ragazze, e Gigliola in particolare, sembrava essere la sua favorita.

«Allora non è un pisello, è una melanzana» rispose Dalia, ma Gigliola ribadì dicendo «No, più un igname» quando Dalia udì ciò spalancò la bocca e sussultò stupita del paragone.

«Fidati, la prima notte con lui io ho visto i miei antenati» confessò, nel frattempo l'amica stava strozzando nella propria risata.
«Dovrebbe chiamarsi il signor Percheron» disse, pronunciando il nome con un buffo accento francese, che privò ancora di più d'aria i polmoni sfiniti dell'amica.
Quando si riprese però, sospirò contenta e accarezzò il viso dell'amica.

«Se dovessi avere dei figli, voglio che tu li possa prendere in braccio e giocare con loro» disse.
Gigliola la guardò e le disse «Ne sarei onorata, Dalia»

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⏰ Ultimo aggiornamento: 5 days ago ⏰

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