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«Non vieni?» domandò Giglio, vedendo il proprio amato ancora a bordo del veicolo. Non si era slacciato la cintura di sicurezza, e non aveva nemmeno aperto lo sportello.

«No, vado a fare visita a Davis» rispose cambiando marcia in maniera irruente.

Giglio non obbiettò, al contrario, annuì e si distò dall'automobile, per permettere al compagno di fare retromarcia e partire.
Mentre lo guardava andarsene, meditò spiacevolmente sulle parole di Vittorio.
Se il test avesse rivelato che i gemelli non fossero di Walter, il suo mondo sarebbe collassato nell'eterno vuoto.

Calò gli occhi al pancione e lo avvelenò con uno sguardo colmo d'ira, convinto che se non ci fossero stati, la vita sua e di Walter sarebbe stata perfetta.


Walter nel frattempo era giunto da Davis, che nel momento alloggiava in un motel della città per poterne godere il fascino e il diletto.
Si era fatto indicare la via da una conoscenza di entrambi, poiché Davis sembrava essersi disfatto del proprio cellulare.

Bussò alla porta e attese che il cugino gli aprisse, udì subito che egli fosse dentro, poteva sentirlo in compagnia di una donna.

Quando la porta si aprì, Davis si mostrò sorpreso di vedere il cugino, tuttavia, lo rimproverò per aver interrotto il piacevole momento che stava trascorrendo con l'amata.

«Possiamo parlare?» domandò Walter.

Davis non esitò, lo invitò a entrare, dandogli così il benvenuto nel suo caotico reame.
Colli di abiti griffati comprati per amore della compagna, respinti negli angoli della stanza come cumuli di sterco.
L'aria era rarefatta, si respirava gin e virginia e dai fornelli della cucina giungeva uno sgradevole odore di bruciato.
Per nulla un bel vedere, Walter guardò la giovane donna con sdegno, il suo fascino non la compensava affatto.

«Preferirei che ci fossimo solo noi» specificò guardandola.

«Vattene» ordinò Davis, e la compagna senza cogliere abiti o coperte, nella sua completa confortevolezza, si diresse verso il bagno e si chiuse dentro.

Solo quando i cugini udirono l'acqua della doccia scorrere che si volsero l'un l'altro.
Walter non attese, senza giri di parola giunse subito alla ragione per cui era lì.

«Perché hai detto a mio padre dei gemelli?»

«E tu perché ti scopi un travestito?» ribatté Davis con assoluta assenza di rimorso verso quello che aveva fatto.

«Maledetto segregazionista, ora egli vuole un test di paternità, se esso rivela che se i bambini sono suoi io perderò sia loro che Giglio!» ribatté Walter, sperando di vedere sul volto del cugino una traccia di rancore.
Ma Davis provava tutto fuorché dispiacere, se gli fosse stata concessa l'opportunità di tornare indietro, lo avrebbe rifatto.

«Un umano, Walter. Perderai un umano» gli fece notare, che considerava quella specie gravemente inferiore persino agli animali, la cui vita era breve e insignificante come una foglia per strada.
Era incapace di comprendere come Walter ne fosse tanto legato, non riusciva a vedere l'amore che gli univa e lo considerava altamente patetico e oltraggioso.

«E dunque?» chiese Walter.

«In quanto figlio di uno come tuo padre dovresti pretendere oro piuttosto che legna. Un umano, noi li cacciavamo quei vermi!» disse.

«Sentiti, parli come un mostro» rispose Walter, deluso dalle parole del suo caro cugino.

«Sarei io il mostro? Ricordi che cosa hanno fatto a tua sorella?» ribatté, tutta la famiglia piangeva ancora la sua morte, era una ferita che si portavano dietro da anni.

Walter, sebbene provasse molto dispiacere per la sorellina, non si riteneva meno innocente degli uomini artefici dell'omicidio. Egli stesso in quanto vampiro aveva commesso atti terribili nei confronti di altre vite, non era perfetto e nemmeno elevato alle altre specie.

«Ti ricordi quella madre con sua figlia? Le senzatetto?» domandò.

«E il ragazzo solo alla fermata?» proseguì.

«La prostituta ubriaca, Le due studentesse. E le due prostitute sul ciglio della strada?»

Davis non comprese, era ignaro su dove volesse giungere con tale discorso.

«Cosa ci rende diversi?» chiese Walter.

«Non riesco a credere che sia tu a parlare così, mi fa' ribrezzo» rispose.

«A me fa' ribrezzo quello che ero con te. Sapere che un tempo non valorizzavamo la vita di nessuno, nemmeno quella nostra se ci pensi. Davis, sei mio cugino e ti voglio molto bene. Ma devi iniziare a distinguere da ciò che è giusto e sbagliato»

La pazienza di Davis diventò cenere, si coprì indossando un paio di pantaloni comodi e si fece comodo sul letto, pronto a porre fine alla scomoda conversazione.

«Valente aveva ragione, sei sempre stato tu l'anello debole del gruppo» rispose, che non aveva colto nulla dal discorso del cugino. Esattamente come Vittorio, avrebbe continuato a nutrire odio verso gli umani.

Walter sospirò, era evidente che non sarebbe cambiato e che non avrebbe chiesto perdono di averlo tradito.
Dunque si fece forza, si cinse di sicurezza e pronunciò queste medesime parole.

«Davis, te lo chiedo dal profondo del cuore, come tuo cugino...»

Riuscì a non far tremare la voce, era assai colto dal dolore, ma sapeva che era la decisione migliore da prendere per il bene suo, di Giglio e dei piccoli. Se mai fossero suoi.

«Non ti avvicinare mai più a Giglio, nemmeno dopo il parto. Io non voglio che lo guardi, né che lo tocchi. Così vale anche per i bambini. Ti voglio fuori dalla nostra vita per sempre»

Davis lo guardò e non lo riconobbe più.
«Dunque, scegli l'umano a me?» chiese.

Walter sospirò, nutriva molto affetto per Davis, ma erano troppo diversi per poter continuare a essere amici come lo erano un tempo.
Walter era un bevitore di sangue, ma Davis anche uno spargitore. E non provava rammarico, la redenzione distava da lui come le coste del mare.

«Scelgo ciò che è meglio per tutti. E Giglio è il meglio per me»

La sua risposta lo trafisse in pieno petto, lo fece sentire terribilmente vuoto, spento.
Non poteva credere di essere stato appena rifiutato dall'unica persona che considerava vera, Walter era per lui suo fratello, la sua metà, il suo migliore amico.

Sentì il proprio cuore indebolirsi, stringersi tra le insipide parole udite.

«Hai ragione...» pronunciò.
«Perché sarà meglio per quello schifoso umano non incrociarmi per strada»
«Stai minacciando il mio fidanzato?» rispose Walter.
«No, ti sto solo avvertendo. Avrei potuto farlo a meno, o potrei benissimo venire a farvi visita. Ma non lo farò»

Walter non si fidò delle labbra di suo cugino, se il suo nome era Roulette, c'era un valido motivo.

Era difficile sapere quando o meno avrebbe agito, poteva cambiare la sorte di chiunque in breve tempo senza alcuna riflessione, lesto come un proiettile a definire il fato del prossimo, come se me avesse autorità.

«Non mi provocare, lo sai che mio padre potrebbe benissimo farti seppellire» rammentò Walter, poiché c'era probabilità che i gemelli fossero suoi, e se ciò sarebbe accaduto, Giglio lo avrebbe sposato.

Davis non disse nulla, quello che voleva dire, quello che pensava, lo trattenne dentro di sé.

«Sappi che rimarrai sempre mio cugino» consolò Walter, ma oramai il danno era stato fatto.

Davis gli ordinò di andarsene, non sopportava più la sua presenza.
Walter camminò verso la porta, ma prima di uscire dalla stanza e dalla vita del cugino, si voltò e lo salutò.

«Addio»
Dopodiché chiuse la porta, sentendo che non avrebbe mai più potuto riaprirla.





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