𓆩VIII𓆪

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Giglio si era profondamente appisolato sulla poltrona, ma fu presto svegliato da un leggero brusio presente nella stanza.

Dunque si svegliò, e quando aprì entrambi gli occhi, trovò Walter in compagnia di un altro giovane ragazzo.

«Eccola, è sveglia adesso» indicò Walter.

Giglio guardò l'estraneo e ne fu immediatamente terrorizzato, sembrava essere uscito dritto da una tomba.

Si chiamava Rouzee, o come lo chiamavano in molti, Zanzara.

Era vestito di scuro, sembrava essersi tinto dentro una pozza d'inchiostro. Indossava una giacca nera di pelle dalle spalline consumate e borchiate, sotto di questa non portava la maglietta, bensì una pesante stesura di tatuaggi con nomi blasfemi e figure occulte, cosa per cui nutriva un particolare interesse morboso. In vita era cinto di un grosso cinturone, che serviva per reggere i suoi larghi e scuri pantaloni.

Era palese che il nero fosse il suo colore di conforto, senza di esso egli si sarebbe sentito nudo, le unghie delle dita erano colorate di nero come l'ombretto sulle palpebre e l'intenso rossetto, e tutto quel tono oscuro metteva in risalto la sua pelle pallida.

Per questo era stato nominato Zanzara, era così bianco cadaverico, che sembrava supplicare sangue, inoltre era risaputo che ne beveva in gran quantità, più di quanto fosse necessario per sopravvivere.

Era un ragazzo eccentrico e fuori dagli schemi. Un po' come un bambino, irresponsabile ed estraneo alle regole, si divertiva con poco e niente. Coltivava una passione per gli aghi e gli arnesi appuntiti, difatti, qualche volta si pungeva la punta del dito sulle lunghe borchie che sporgevano dalle maniche o dal braccialetto attorno il polso, solo per il gusto di farlo.

Avvicinò il suo volto a Giglio, intossicandolo con il suo pungente alito di cannella, provocato dalla sigaretta elettronica che teneva nella tasca.
Poi condusse la mano al tenero viso del ragazzo e lo esaminò come un animale prossimo a essere venduto.

«Ti sei messo in un bel guaio» disse riferendosi a Walter, e quest'ultimo alquanto disperato, chiese cosa fare.

«Se non riesci a disfartene tu, posso farlo io, chiederò una mano a un mio amico per nasconderne il corpo poi»

«No!» esclamò Giglio respingendo la mano non invitata di Rouzee.

«Aspetta, al telefono non avevi detto che era una ragazza? A me sembra un maschio questo» chiese confuso.

«Sì, lo era...» rispose Walter.

Rouzee si fece curioso, si riavvicinò a Giglio e lo guardò con maggiore riguardo.
«Come ti chiami?» chiese.

«Giglio» balbettò.

Rouzee trovò Giglio un soggetto interessante, proprio come Walter, restò incantato dai suoi grandi occhi scuri.
Era di bell'aspetto, dall'aria indifesa e debole, remissiva e disposta a compiere qualsiasi cosa pur di vivere.
Meditò su di lui, sgravando pensieri perversi e disegni immorali.
Giglio sembrava aver paura anche della propria ombra, non dava affatto l'impressione di essere un ragazzo tosto, né tanto meno un problema come lo aveva definito Walter.

Rouzee vide dinanzi a sé un'occasione, avrebbe potuto esercitare su di lui tutto quanto il suo potere e controllo, cosa che purtroppo non gli era sempre concesso fare dato il suo carattere frizzante.
Oltre agli aghi, a Rouzee affascinava l'idea di imporre dolore al prossimo, Giglio ai suoi occhi non era altro che un topo.

«Me ne occuperò io, non ti preoccupare. Lo farò sparire, nessuno chiederà più di lui» disse con un largo sorriso cucito sul volto.

«Davvero? Ma aspetta...»
Walter, sebbene contento di potersi sollevare da quel problema, non voleva che Giglio soffrisse.

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