20. (Selene)

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<<Di questo. Dobbiamo parlare di questo.>>
Sento la sue dita stringere attorno alla mia gola e nell'esatto momento in cui nel mio cervello si attiva il processo combatti/fuggi, scelgo di combattere. Come sempre. Come nello studio di papà. Avrei potuto fare la differenza, avrei potuto reagire. Avrei potuto salvarlo.
Afferro la mano di Silas, la strattono e con fin troppa facilità riesco a levarla dal mio collo. Quella dannata puntura d'ape ora brucia ancora di più.
<<Che c'è da dire?>>
<<Mi prendi in giro? Mi hai afferrato la mano e te la sei stretta attorno alla gola, Selene.>>
Vorrei sotterrarmi per la vergogna che ho di me stessa. Ma la Dottoressa Keagan ha detto qualcosa di vero, poco fa: l'unico modo per affrontare i propri demoni, è parlare con loro.
E vorrei farlo, lo vorrei davvero, ma forse ancora non sono pronta ad ammettere la verità.
<<E quindi? È una cosa comune a tante persone. Non hai mai letto cinquanta sfuma...>>
<<Non propinarmi queste cazzate, Selene!>> esclama <<Questa storia va ben oltre il semplice masochismo. Non ti eccita la violenza, ti eccita il pericolo.>>
Eccolo lì, il mio demone. Quello con cui non voglio parlare. É venuto lui da me.
<<Ti sbagli.>> dico, nascondendo il mio animo turbato.
<<Davvero? E che mi dici della gara con Ferguson o di ciò che mi hai detto quella sera?>>
So bene a cosa si riferisce.
No. Mi fa bagnare.
Quindi, o hai le palle di occuparti della questione, subito dopo, oppure torni a guidare come una persona normale. Intesi?
<<Non é la violenza a farti bagnare, ma il fatto che la tua vita sia in pericolo e che potresti non sopravvivere.>>
La dottoressa Keagan la chiama autassassinophilia e nemmeno lei avrebbe saputo spiegarla meglio.
Non posso piú mentire, non a lui almeno.
<<È così, sono malata.>> ammetto, con la voce rotta dalla vergogna per me stessa. <<Sono un pupazzo di carne e sono marcia all'interno. Mi eccita il pensiero di essere ad un passo dalla morte e mi eccita chi sarebbe in grado di spezzarmi anche solo con il pensiero. Non sono masochista, sono malata. La parola giusta è malata.>>
<<Perchè?>> è l'unica parola che gli esce dalle labbra.
<<Non lo so. La mia terapista dice che è un meccanismo che usa il mio cervello per proteggersi dal trauma che ho vissuto da piccola. Lo sessualizza per...Per renderlo accettabile, credo.>>
<<Che cosa ti è successo?>> domanda. Si fa distante per concedermi aria e ne approfitto per sgattaiolare dietro il bancone e versarmi dell'acqua, che bevo d'un fiato.
Parla con i tuoi demoni, Lily!
<<È stato dieci anni fa.>> inizio il mio racconto. <<Mia madre aveva sposato mio padre, il terapista che l'aveva aiutata ad uscire dalla relazione con il suo ex violento e a farlo finire in galera, dove meritava di restare.>>
Mi vuoto un altro bicchiere di acqua, ma stavolta aspetto a berlo.
<<La legge gli ha salvato il culo e quel figlio di puttana è uscito prima del previsto.>>
Ecco, ora sì che mi serve bere.
<<Avevo quindici anni ed ero andata a trovare mio padre alla sua clinica per passare con lui la pausa pranzo. Stavamo mangiando quando abbiamo sentito lo sparo.
Papà è corso a vedere cosa fosse, ma appena ha aperto la porta dell'ufficio si è trovato di fronte la canna di una revolver.>>
<<Era l'ex di tua madre?>>
Faccio segno di sì con la testa.
<<Miles ci ha presi in ostaggio e chiusi nella stanza. Avrei potuto fare qualcosa, saltare addosso a quel figlio di puttana, magari. Invece ho fatto come mi ha ordinato, me ne sono stata in disparte ed ho lasciato che puntasse la pistola contro mio padre e gli sparasse al petto.>>
<<Cristo santo, Selene!>>
<<Lui mi ha detto di mettermi seduta ed io ho obbedito, capisci?>>
<<Che altro potevi fare? Avevi quindici anni e quel folle era armato.>>
<<Avrei potuto ribellarmi, urlare, prenderlo a pugni. Avrei potuto fare di testa mia, assaltarlo e mandare a vuoto il colpo.>> rispondo. Silas fa qualche passo e mi raggiunge per appoggiarsi al pianale.
<<Avrebbe sparato di nuovo.>>
<<Forse. Chi può saperlo?>>
<<Io>> mi risponde secco. <<Ho salvato ostaggi in un miliardo di situazioni simili alla tua, quando ero nelle forze speciali. Ed ogni volta che uno dei prigionieri cercava di fare l'eroe o provava a reagire, c'era sempre un lenzuolo bianco in piú, alla fine.>>
Si allunga per accarezzarmi la guancia: <<Hai fatto la cosa giusta, ragazzina.>>
<<Può essere. Ma il senso di colpa non mi da pace e adesso, nemmeno il trauma che ho subito. Per questo voglio che mi stai alla larga, Silas.
Sono rotta e non so come aggiustarmi.>>
Porta anche l'altra mano sul mio viso e fa in modo che lo guardi.
I suoi occhi hanno qualcosa di diverso adesso. Il suo sguardo è più morbido.
<<E se ti dicessi che lo sono anche io?>>
<<Cosa? Tu?>>
<<Se ti dicessi che anche io ho subito un trauma dal quale non riesco a scappare, nemmeno nei sogni? Segnando irrimediabilmente la mia vita?>>
<<Lo dici per farmi sentire meno uno schifo?>>
<<Lo dico perchè è la verità.>> risponde. Lascia andare il mio viso e sento immediatamente la mancanza del suo tocco. Quest'uomo mi accende come nessun'altro.
<<Senti, questo non è né il luogo e né il momento per parlarti di ciò che mi è successo. Ma posso dirti che anche io ho perso qualcuno di importante e tutto perchè non ha eseguito i miei ordini. Per questo sono diventato il mostro arrogante che tutti cercano di evitare in centrale. E per questo ti ho puntato una pistola contro il mio primo giorno di lavoro.>> confessa <<Dio! Se lo avessi saputo...>> si ferma e prende fiato.
<<Mi dispiace per quello che hai passato e mi dispiace di averti giudicata senza conoscerti. Sono stato uno stronzo. Ma credimi...Quella che senti non è una rottura, è solo una piccola crepa. Niente di ciò che sei è irreparabile.>>
Non so se siano le sue parole a muovermi, o la sensazione d'improvvisa leggerezza dopo aver ammesso per la prima volta a voce alta ciò che provo, ma qualcosa dentro di me si è accesso come una brace ed ora ho una fottuta voglia di baciarlo. Silas deve averlo notato perchè anche il suo sguardo è cambiato ed ora mi fissa come se stesse aspettando solo il mio permesso per strapparmi la pelle via dalle ossa.
Alza le mani e le affonda nei miei capelli, prima di appoggiare la fronte alla mia. Ha il respiro pesante, l'alito che odora di quel liquore alla menta che servono in quel locale sulla Clinton.
<<Cazzo, che cosa mi fai, Selene?>> sospira.
<<Che cosa ti faccio?>> domando. Non so da dove esca tutta questa spavalderia, ma mi piace. Mi piace come mi sento quando sono con lui.
<<Mi mandi a fuoco, ragazzina.>>
Odio quel nomignolo che sottolinea la differenza di età tra noi, ma lui lo fa suonare cosí sporco che vorrei metterlo all'anagrafe al posto del nome di battesimo.
Mi alzo in punta di piedi e gli sfioro le labbra con le mie. La sua barba è pungente e quando mi solletica il labbro rabbrividisco. Ho bisogno che quest'uomo mi scopi, adesso.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Silas esaudisce le mie richieste annullando la distanza tra noi ed afferrandomi i fianchi per poi sollevarmi senza fatica e mettermi a sedere sul bancone. Anche da quest'altezza, gli arrivo comunque al livello del naso. È un diavolo di gigante che potrebbe uccidermi con una sola mano e la cosa, mi incendia come benzina.
Lo guardo controllare l'ora sul forno.
<<Devi andare via?>> gli domando. Appoggia i palmi delle mani sul pianale in marmo, accanto ai miei fianchi e si sporge verso il mio orecchio. La maglietta nera che indossa sembra di due taglie piú stretta e fascia alla perfezione ogni centimetro di pelle.
<<Sto solo cercando di capire se avrò il tempo di farti tutto quello che ho in mente.>>
Cristo!
Infilo una mano tra i suoi capelli e lo stuzzico: <<Sono così tante?>> domando con tono fintamente innocente, poi li tiro leggermente lo sento agitarsi.
<<Un giorno ti lascerò il mio portafogli e me lo dirai tu.>>
<<Che cosa? Che c'entra il tuo portafogli?>> domando, confusa.
<<Un'altra volta, magari.>> mi liquida con una risposta che dice tutto e niente. E francamente non me ne importa nulla. Tutto quello che voglio adesso, è la bocca di Silas Wolfe sulla mia.
<<Baciami.>> lo supplico.
<<Dove?>> Una mano, dal bancone, passa alla mia coscia ed inizia a stringere.
Fa sul serio?
<<Non lo so, hai preferenze?>> chiedo ingenuamente.
<<Oh, sì che ne ho.>> sussurra <<Ma credo che comincerò col divorare questa.>> dice, sfiorandomi la bocca con il pollice.
<<Poi passerò ad assaggiare questa piccola fica che desidero da così tanto.>> aggiunge, mentre la mano che era sulla coscia si spinge sempre piú all'interno. Sfiorando la seta della vestaglia e portandomi a tanto cosí dal perdere il controllo.
Si avventa su di me e mi bacia come se ne avesse bisogno per vivere. La sua lingua danza con la mia senza controllo, mentre la mano che prima mi accarezzava le labbra, va ad allentare il nodo della mia vestaglia. Quando è completamente slegata si stacca da me per ossevarmi. È famelico, sembra pronto a mangiarmi viva e Dio solo sa quanto vorrei che lo facesse.
Con un sorriso gelido in volto mi assale di nuovo, porta la mano tra i miei capelli e li tira, prima di scagliarsi con le labbra sul mio collo, nel punto esatto in cui l'ape mi ha punto.
Emetto un piccolo gemito quando sento le sue labbra toccarmi. E quando i suoi denti affondano sulla pelle sensibile e arrossata, perdo totalmente il contatto con la realtá.
La sua lingua passa sulla puntura, dandomi brividi di un piacere malato, mentre i denti affondano nella carne. Quando gemo di nuovo, tira ancora di più i miei capelli, per poi succhiare piú forte, come fosse un vampiro assetato.
<<Fa male, ragazzina?>>
<<Sì>> riesco a rispondere.
<<Quanto male?>> ringhia, succhiando di nuovo, passando i denti sulla puntura. Mi assale un'acuta fitta di dolore.
<<Non abbastanza.>> confesso, in un breve sprazzo di lucidità.
Silas si ferma e per un secondo ho il terrore di aver detto la cosa sbagliata. Ma poi la sua mano lascia i miei capelli e procede lenta verso il mio collo, che ancora brucia per il suo morso. Le sue dita stringono e la mia mente si spegne, come se avesse appena premuto un interruttore. La vista si annebbia, mentre le mie mani si posano sui suoi fianchi per attirarlo di piú a me.
<<Non sfidarmi, Selene.>> ringhia contro la mia bocca, mentre la sua mano continua a rubarmi ossigeno.
<<Non hai idea di quanto male posso farti. Potrei prendere la tua mente e piegarla fino a quando non sarai in grado di rispondere solo sì, ad ogni mia fottuta richiesta. E poi spezzarti, in milioni di piccoli frammenti che non riusciresti più a rimettere insieme.>>
Non rispondo Anche volendo, non ne avrei le facoltà.
<<Non hai idea di quanti modi esistano per togliere una vita, Selene.>> aumenta la presa sulla mia gola <<Ed io ne conosco parecchi. Tutti gentilmente impartiti dal governo degli Stati Uniti.>>
Molla la presa sulla mia gola e mi bacia con foga.
<<Devi solo chiedere, Lily.>>
Devo solo chiedere.
Quanto facile sarebbe farmi annientare quest'uomo? E quanto bello potrebbe essere lasciare che divori fino all'ultimo brandello della mia anima guasta?
Devo solo chiedere.
Apro la bocca e faccio per parlare ma vengo interrotta dal trillo di un telefono.
<<Cazzo, aspetta! È lo sceriffo.>>
Che cosa? Adesso?
<<Wolfe >> risponde, la voce ancora incupita dal desiderio.
<<Avete mandato qualcuno sul posto?>> domanda. È allarmato, che succede?
<<No, no, avete fatto bene. Avete avvisato le famiglie?>> si aggiusta i pantaloni, massaggiandosi sul davanti.
<<D'accordo arrivo il prima possibile. Ciao.>>
Riaggancia e si china in avanti sul bancone, al mio fianco. Tira un lungo sospiro ed alza la testa per guardarmi. Sta per lasciarmi qui, glielo leggo in quegli occhi delusi.
<<C'é stato un accoltellamento nella periferia di Withcliff. Un morto e due feriti.>> chiude gli occhi, é stanco. <<Devo andare.>>
<<Oh, mio Dio! Certo che devi. Va pure, non preoccuparti.>>
<<Selene, io...>>
<<Vai!>> lo interrompo <<Avremo tempo per parlare.>>
<<Grazie.>>
Mi afferra il volto tra le mani e mi bacia. É un bacio piú dolce di quelli di prima. È come se non volesse staccarsi dalle mie labbra e in un certo senso, nemmeno io lo voglio.
Poi, nel giro di qualche secondo, sparisce oltre la porta d'ingresso ed io rimango sola.
L'orologio accanto al frigo scandisce i secondi che passano e, nel silenzio che si é formato, fa tanto rumore quanto un paio di stivali da cowboy sul parquet.
Da qualche parte, nella penombra della cucina, il demone del mio trauma mi fissa, con in ghigno inquietante.
Puttana! Sembra sussurrare, ad ogni scatto delle lancette.

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