𝟖

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Immaginò il suo viso. Un coltello.
La sua bocca, un altro.
I suoi occhi, un terzo.
Il legno si incrinò e Remiel digrignò i denti.
Lanciò un ultimo pugnale ma, questa volta, la lama si conficcò in una crepa dell'acciottolato.

Remiel si tuffò sul prato. Gli steli d'erba solleticarono la sua schiena nuda. Il sudore brillò sotto i raggi solari come gocce di rugiada.

Remiel aprì gli occhi, le nuvole si mossero sopra di lui. Si sedette sul giaciglio d'erba, strappò un fusto e lo infilò tra i denti. Un verme minuscolo gli cadde sulla mano e Remiel lo seguì con lo sguardo.

«Assomigli a una persona che conosco» farfugliò.

Si rigirò il lombrico tra le dita poi lo posò sul prato. Remiel si alzò e recuperò i coltelli. Rientrò in accademia e con un gesto della mano salutò gli studenti. Kairos non era lì con lui, non poteva restare in accademia per troppo tempo, la sua taverna aveva bisogno del suo capo.

Si ripulì il sudore dal petto e sciacquò i capelli. I ricciolini biondi gli si attaccarono al viso ma li lasciò bagnati. Si rivestì e si nascose nell'archivio dell'accademia. Aveva bisogno di una cartina geografica, doveva soltanto copiarla nella sua bottega poi l'avrebbe riportata nello scaffale in cui l'aveva trovata.

Il suo emporio era a corto di carta, era chiuso ormai da giorni, nessuno se ne occupava oltre a lui. Suo padre non era in grado di farlo ma era troppo occupato nel gioco d'azzardo. Sperperava tutti i soldi della famiglia Lawrence in scommesse ma non vinceva mai. Sua madre, al contrario, era rinchiusa in casa ma a lei piaceva, la rendeva calma. Lo stress spariva.
Non avevano mai prestato attenzione alle esigenze di Remiel, neanche una volta. Iscritto a soli sei anni in accademia contro la sua volontà. Nei primi cinque anni della sua vita i suoi genitori non facevano altro che litigare e lui si esiliava in camera per giorni.

Remiel scosse la testa e recuperò la mappa, la infilò nella sua custodia e lasciò l'edificio.

«Nikolai il momento della tua morte è più vicino di quanto pensi» mormorò.

***

Cassandra tornò solo dopo due giorni in erboristeria. Aprì la porta e la campana suonò. Una voce urlò «arrivo subito!». Faith si affrettò e tornò nell'atrio.

Cassandra alzò una mano ma non sorrise. Non aveva ancora dimenticato ciò che le aveva fatto.
La corvina si asciugò il palmo delle mani sul grembiule e abbassò lo sguardo. Aprì la bocca per dire qualcosa ma le uscì solo del fiato.

Cassandra si avvicinò a lei e appoggiò la schiena al bancone. Nessuna delle due aveva il coraggio di iniziare una conversazione.

Faith alzò un dito ma lo abbassò subito. Le diede le spalle ma Cassandra le cinse il polso.

«Dobbiamo parlare» iniziò Cassandra. «Guardami»

Faith si girò e incontrò gli occhi della ramata, le pupille dilatate. Avevano perso la loro luce. «Sei libera di licenziarti, se è quello che devi dirmi.» sussurrò.

«Non voglio farlo.» ribattè.

«Mi dispiace» confessò Faith.

Cassandra le lasciò il polso e sospirò. «Hai sbagliato. Questo lo sai»

Faith annuì; giocherellò con le proprie dita. «Mi dispiace» ripetè. «Ti sei fidata di me e io ti ho deluso»

Cassandra la interruppe mettendo una mano in avanti. «È vero, non lo nego. Ma la notizia avrebbe fatto il giro del regno comunque. Hai accellerato il processo»

«Continuerai a lavorare qui?»

Cassandra le poggiò le mani sulle spalle e annuì. «Domani. Sfida di tiro con l'arco»

𝐈𝐋 𝐑𝐈𝐅𝐋𝐄𝐒𝐒𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐈𝐂𝐀𝐓𝐑𝐈𝐂𝐈Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora