𝟏𝟖

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Naphatos all'inizio non rispose, studiò ogni sua micro espressione. Morgen era cambiato, ora i suoi capelli apparivano corti sui lati; anche il colore era diverso: non più rosso fuoco ma della stessa tonalità del sangue. Aveva tagliato la barba, sembrava un uomo nuovo, all'apparenza, ma la sua anima non era cambiata.

Morgen si sedette dietro il vetro dei prigionieri, le mani rinchiuse nelle manette, una prigionia che non sarebbe durata ancora a lungo. Si rilassò sullo schienale della sedia e roteò la sua seduta come un bambino impaziente mentre sghignazzava. Le guardie carcerarie osservarono quella scena e parlottarono, non avevano mai visto il loro sovrano così calmo con suo fratello, ogni sua visita sfociava in un litigio.

Naphatos inspirò ed espirò più volte ad occhi chiusi. Una mano sullo stemma della casata. Strinse il tessuto e sospirò, poi riaprì gli occhi e sbattè il palmo contro la superficie del tavolo. Le guardie corsero fuori dalla sala spingendosi l'una con l'altra e Morgen ritornò ad essere uno studente attento. Smise di sghignazzare e le braccia scivolarono sull'acciaio. Naphatos si schiarì la gola e si alzò in piedi, le mani appoggiate sul piano ruvido.

«Non vengo qui perché sei mio fratello.» dichiarò. Il suo tono era serio.

«E allora cosa vuoi? Non so dove sia nostra madre.» confessò, anche se la sua voce nascondeva una bugia velata.

«Non sono qui per questo.»

Naphatos girò e si ritrovò di fronte a suo fratello. Lo sovrastava in altezza solo quando era seduto. Morgen incastrò gli occhi con quelli di Naphatos.

Lui si coprì la bocca con la mano e trattenne una risata. Cominciò a camminare avanti e indietro per la sala visite, le iridi di Morgen lo seguivano ovunque. Un luccicchio d'odio baluginò nei suoi occhi. Era lì solo per infastidirlo?

Il maggiore si alzò e Naphatos fermò la sua camminata con un ghigno sul volto. Affrontò suo fratello.

«Ho saputo che hanno diminuito la tua condanna, chi sarà stato? Solo io posso decidere i mesi o gli anni in cui i prigionieri rimangono qui.»

«Stai blaterando.» mentì.

«È stato nostro padre vero? Confessa.» urlò, puntandogli un dito contro.

«Te lo ripeto, non so di cosa tu stia parlando» mentì ancora.

Naphatos digrignò i denti e spinse Morgen contro il muro. La mano destra circondò il suo collo. Le guardie tornarono nella sala ma Naphatos le fermò, non era il momento di interrompere. Voleva farlo confessare poi si sarebbe occupato anche di suo padre.

Il fiato di Morgen formò una nuvoletta fetida. Naphatos lo lasciò andare e tossì. La forma delle dita sulla gola, il pomo d'adamo si arrossò.

«Tu menti!» urlò.

«Sto dicendo la verità.» ribatté. Un'altra bugia.

Naphatos ringhiò e afferrò suo fratello per il colletto della maglia bucata. Lo lanciò contro il muro come se fosse un oggetto. Le ossa di Morgen scricchiolarono con un ritmo costante. La sua caduta sollevò la polvere dal pavimento.

«Rimarrai qui per l'eternità è chiaro? Nessuno dovrà permetterti di uscire.» schioccò le dita e si abbassò.

Le guance di Morgen erano sudicie, un solo occhio aperto e una smorfia di disprezzo sulle labbra. Piegò il ginocchio e appoggiò l'angolo esterno del gomito su di esso. Naphatos fletté le gambe e scrutò il viso di suo fratello; le labbra screpolate erano sporche di polvere, le sue particelle in ogni piega della bocca. Naphatos ridacchiò, una risata altezzosa, da vero sovrano del regno. Morgen provò a rialzarsi ma la mano di suo fratello sulla spalla lo fece risedere. Lo odiava. Quella sua autorità gli era sempre stata d'intralcio. Doveva essere lui il re, il trono spettava al figlio maggiore eppure era lì, a scontare la pena senza aver ucciso nessuno.

𝐈𝐋 𝐑𝐈𝐅𝐋𝐄𝐒𝐒𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐂𝐈𝐂𝐀𝐓𝐑𝐈𝐂𝐈Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora