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"Devi solo controllare gli abbonamenti, e farne di nuovi quando te li chiedono." Mi spiega Carlo, un anziano proprietario della palestra in cui sto per iniziare a lavorare.

"E rispondere alle chiamate." Aggiungo vedendo che non riesce a ricordare l'ultima cosa che mi ha detto cento volte.

"Certo, e rispondere alle chiamate." Scuote la testa come per riprendersi. "Puoi cominciare ora, non esitare a chiamarmi se hai qualche dubbio." Dice, per poi scomparire in ufficio.

La prima cosa che mi salta all'occhio appena mi siedo alla scrivania è il disordine. Quindi per iniziare riordino le carte, che sono buttate in ordine sparso sul tavolo.

Se c'è una cosa che odio è proprio il disordine, ho sempre la necessità di rimettere le cose in ordine e al loro posto. 

"Ciao." Sento la porta aprirsi ed alzo lo sguardo.

Incrocio gli occhi di questo ragazzo, e per poco non mi prende un colpo.

Quegli occhi color nocciola li riconoscerei ovunque.

"Tutto bene?" Mi domanda ed io, dopo un attimo di titubanza, rispondo.

"Sì, tutto okay."

Mi porge il tesserino, e quando controllo il suo nome mi conferma tutto. Mario Molinari.

Io e Mario ci siamo incontrati per la prima volta, nell'ufficio dell'assistente sociale. Io avevo sei anni, lui dieci.

"Come mai sei qui?" Mi domanda, ma io rimango sulle mie, non voglio rispondere.

Lascia passare qualche minuto, prima di farmi una nuova domanda.

E' ricciolino, ed ha gli occhi scuri. E' più grande di me, quindi mi sento in soggezione.

"A me non è la prima volta che capita, tranquilla, prima o poi ti ci abituerai." Fa spallucce ed io mi fisso i piedi mentre dondolo con la sedia.

"Non fare così, poi sbatti la testa e ti fai male." Mi rimprovera e subito mi fermo.

"Come ti chiami?" Mi domanda ma continuo a non rispondere.

"Mamma ha detto che non devo parlare con gli sconosciuti."

"Io mi chiamo Mario, ora non sono più uno sconosciuto." Mi sorrido, e sento le guance avvampare.

"Io Aurora."

L'ho rivisto solo qualche anno più tardi, nelle stesse circostanze, ma si è subito ricordato di me.

"Aurora, giusto?"

Sorrido.

"Mario, pensavo non ti avrei più rivisto."

"Sarebbe stato positivo, significa che ero tornato a casa." Accenna una risata. 

"E invece siamo ancora qua."

"Già."

L'ultima volta che l'ho visto, stava per tornare da sua madre. Ricordo che mi ero messa a piangere, non per la tristezza, ma per la gioia. Per quel poco che lo avevo conosciuto, Mario mi era entrato nel cuore. Mi ci ero affezionata, ed ero contenta che almeno uno dei due ce l'avesse fatta.

"Vieni qua." Mario mi stringe in un abbraccio, ed io affondo la testa nel suo petto, inalando il suo profumo per non dimenticarlo.

"Devi resistere cinque anni, solo cinque anni, poi non dovrai più soffrire. Mai più."

Ci siamo tenuti in contatto un paio di mesi, dopodichè aveva smesso di rispondere ai miei messaggi, ed io avevo smesso di mandarli.

E' cambiato tanto. Ha i capelli più lunghi e ancora più mossi di come li aveva anni fa. Ma il suo sguardo è rimasto lo stesso.

MAI PIÙDove le storie prendono vita. Scoprilo ora