𝒞𝒽𝓇𝒾𝓈𝓉𝑜𝓅𝒽𝑒𝓇

12 4 5
                                    

Di ciò che posso essere io
per me, non solo non
potete sapere nulla voi, ma 
nulla neppure io stesso
Luigi Pirandello


Erik scoppia a ridere, una risata rotta e stridula, come un coltello che gratta su una superficie di metallo. Il suo alito puzza di alcol, forte e nauseante. Gli occhi annebbiati sono colmi di sfida, nonostante il sangue che gli macchia il labbro inferiore.

"Non lo farai," sussurra con un ghigno distorto. "Non hai il coraggio." La sua voce è impastata, trascinata dall'ebbrezza.

Il mio respiro si blocca per un istante. Dentro di me, qualcosa si spezza, un filo sottile che tratteneva la furia. . Gli pianto la mano in bocca, spingendo con forza la parte morbida tra il pollice e l'indice sui suoi denti, soffocando la sua risata con un gemito strozzato. Sento il suo alito caldo e acido contro la pelle, mentre lui si contorce inutilmente sotto la presa. 

I suoi occhi si spalancano, il terrore comincia a farsi strada dietro l'anestesia dell'ubriachezza. Ma rimane in silenzio, solo un lieve gorgoglio tra le labbra secche.

"Parla!" Il mio grido riecheggia nella stanza vuota, come una frustata violenta nell'aria pesante.

Lui ride ancora, ma questa volta la risata è spezzata, un suono soffocato da un colpo di tosse. "Vai all'inferno," biascica. "Sei... già lì, non lo vedi?"

Mi chino più vicino, il mio volto a pochi centimetri dal suo. L'alcol che esala mi dà la nausea, ma non distolgo lo sguardo. "L'inferno è l'unico posto dove finirai se non mi dai quello che voglio. Dove. È. Derek?"

Le sue palpebre tremano. Per un istante, sembra perdersi in un mondo distante, confuso dall'alcol. Poi, con un filo di voce, sussurra: "Derek... è già morto."

Il mondo si ferma. Le parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco. Lo mollo, il mio cuore che pulsa impazzito nelle orecchie. Ma qualcosa nel suo sguardo, nella piega delle sue labbra insanguinate, mi fa capire che non sta dicendo tutta la verità. O forse nemmeno lui sa cosa è vero in questo stato.

Non posso permettermi di credergli.

Ma quelle parole mi colpiscono come una pugnalata al petto. Mi blocco, lasciando che il silenzio cali tra noi, pesante e opprimente.

Derek... morto? No. Non può essere. 

Lo mollo di colpo, lasciandolo collassare a terra. Il suo corpo ansima, piegato, mentre io rimango in piedi, il cuore che mi martella nelle tempie.

"Stai... mentendo," sibilo, cercando di convincere me stesso più che lui. Non può essere vero. Non deve essere vero.

Tossisce, sputando un fiotto di sangue sul pavimento. Il suo sorriso si affievolisce, ma non scompare del tutto. "Credi davvero... che Derek sia ancora in giro?" La sua voce è roca, spezzata dall'alcol e dalla violenza. "Non lo rivedrai più... è finito. Come doveva finire."

Il suo sorriso si allarga, storto e inquietante. "Ha avuto quello che si meritava," sussurra, il fiato caldo e marcio contro la mia faccia. "Si è messo nei guai... e io... ho solo dato una mano a risolverli."

"Hai ucciso tuo figlio". Le parole mi escono dalla bocca quasi senza che io me ne accorga, come se fossero una verità che ho sempre saputo ma che non volevo accettare.

Lui ride, una risata sorda e stanca, soffocata dalla sua condizione. "Tu... non sai niente," dice con un ghigno soddisfatto, come se avesse il controllo della situazione, anche ridotto com'è. "Derek... si è scavato la fossa da solo. Io ho solo... chiuso la bara."

La bile che scorre brucia nelle mie vene, mi sale alla testa e mi annebbia lo sguardo. Non capisco più niente. Le parole dell'uomo, le sue risate stridule e il ghigno malato sembrano farsi eco nel mio cervello, amplificate dalla rabbia e dalla frustrazione. La mia mente continua a processare pensieri confusi, mentre il corpo reagisce a impulsi incontrollabili.

Mi allontano di qualche passo, cercando di respirare profondamente per calmarmi. I muscoli sono tesi, e ogni respiro è un tentativo di mantenere la lucidità mentre la rabbia mi divora. La verità, se esiste, è come un velo opaco che non riesco a sollevare.

Mi volto di scatto verso Erik e lo vedo strisciare verso una bottiglia di Rum bianco, cercando disperatamente di afferrare un ultimo conforto dalla sua ebbrezza. La mia mente corre a Derek e il mio cuore batte all'impazzata contro il torace, lasciando un'eco assordante nelle mie orecchie.

Faccio due passi veloci e, con un movimento deciso, gli sferro un calcio che lo costringe a chiudersi su stesso a riccio, un gemito di dolore che esce dalla sua bocca. Il rumore del suo corpo che colpisce il pavimento è secco e soddisfacente, ma non è abbastanza.

Prendo la bottiglia di vetro, la sento pesare nelle mie mani come un fardello di rabbia e disperazione. Senza esitare, la spacco in mille pezzi contro il muro, il suono del vetro che esplode in schegge acuminate e scintillanti riempie la stanza. I frammenti volano in tutte le direzioni, alcuni colpendo il pavimento e altri sparpagliandosi intorno.

Lo guardo ancora una volta dall'alto, il corpo di Erik rannicchiato sul pavimento, circondato dai frammenti della bottiglia di vetro che ho distrutto. Poi, come se nulla fosse successo, gli volto le spalle ed esco di casa. L'ora sul display del mio cellulare segna le 23:09.

 Cammino senza una meta ben precisa, il vento fresco delle notti d'estate che calma l'adrenalina ancora in circolo. I pensieri affollano la mia mente, un caos di immagini e domande che si accavallano. 

Prima mia madre e adesso Derek... non è possibile. No. Non può essere.
Derek è davvero morto per mano di Erik? No. No. No.
Erik ha detto così, ma è possibile che stia mentendo? È tutto un gioco per lui?
Dove può essere? Lo ha detto a posta.
Se solo mia madre avesse finito quella maledetta frase. Se solo avesse avuto il tempo di dirmi quello che sapeva. Avrei delle risposte, avrei potuto capire.

Mi fermo di scatto, cercando di mettere a fuoco ciò che mi circonda. Sono in mezzo a un gruppo di case, i contorni sfumati dalla luce fioca dei lampioni. Un pensiero improvviso mi colpisce: dalla parte opposta di queste case si trova la casa di Meri.

Devo andarmene da qui, prima di incontrarla.
Ma dove vado?

Con estrema difficoltà cerco il contatto della persona più vicina che ho... Coralline.

Il pensiero che sto per chiedere aiuto ad un persona, mi suscita una sensazione di disprezzo verso me stesso. 

Estraggo il cellulare con mani tremanti e trovo il numero di Coralline. Le dita esitano un istante sullo schermo, il conflitto interiore che mi impedisce di fare il passo finale.

Finalmente, premo il pulsante per chiamare e metto il telefono all'orecchio, il suono del tono di chiamata che sembra amplificare il mio stato di disprezzo nei miei confronti.

E dopo il quarto squillo, il gracchio delle casse mi segna la presenza di Coralline. "Christopher, ciao!", dice con la solita voce vivace, "dimmi tutto". Rimango in silenziò, le parole mi morivano in gola. L'energia nella sua voce mi sembra distante, quasi una beffa, e la mia frustrazione monta. Senza pensarci ulteriormente, istintivamente attacco la chiamata in faccia.

Il telefono inizia a vibrare nella stretta delle mie mani, il nome di Coralline che lampeggia sul display. Il ritmo insistente della vibrazione mi riporta bruscamente alla realtà, e un ricordo improvviso, una frase di mia madre mi fulmina la mente.

"Ci sono dei soldi per voi... sotto il tappetto c'è una piastrella".

Mi volto e inizio a muovermi verso casa, ignorando la chiamata di Coralline.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑳𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora