𝒞𝒽𝓇𝒾𝓈𝓉𝑜𝓅𝒽𝑒𝓇

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Insegnami a scordarmi
di pensare

William Shakespeare


Respiro affannosamente. 

Apro appena gli occhi. Sono pesanti.

 Intorno a me c'è solo buio, spezzato da frammenti di luce; la testa continua a pulsare, infastidendomi. Le mie braccia sono tese e i miei muscoli contratti. I miei polsi sono appicciati tra loro. Sono legati?

Mi fa male il collo. Provo a muoverlo per cercare una posizione meno dolorante, che mi permetta di respirare meglio. Cos'è questo tessuto?

Un tessuto ruvido grafia il mio viso e mi fa sudare la fronte.  L'aria all'interno è stagnante e umida. 

Muovo le gambe, ma anche queste sono bloccate. Le caviglie fanno attrito con... una corda? Mi pizzica la pelle ad ogni movimento. 

Il cuore accelera per questa sensazione di ignoto; lo sento pulsare nelle mie tempie. Non riesco vedere. Non riesco a muovermi. Non riesco a respirare.

E poi, in mezzo a tutto quel caos, mi costringo a pensare. Un ricordo? Un volto? 

Qualcosa mi sfila da quella gabbia soffocante. L'aria fresca riempie subito i miei polmoni affaticati, placcando lentamente il bruciore. Sento una presenza dietro di me. Mi inclino in avanti, staccandomi dallo schienale ma prima che possa rendermene conto, delle mani mi afferrano con forza e mi costringono a stare attaccato.

Senza dire una parola, mi lascia andare. Il freddo di quella stanza picchia sull'impronta calda che mi ha lasciato con le mani. 

Si muove lentamente, i suoi passi pesanti rimbombano nella stanza vuota. Si ferma accanto a una porta illuminata da un tenue LED verde dell'insegna di uscita di sicurezza. 

Il rumore del clack di un interruttore riecheggia, e le luci si accendono a fasci, rivelando un laboratorio che prima era nascosto dal buio. L'aria, densa di odori chimici e metallici, mi colpisce, creando una sensazione di nausea. 

Mentre osservo la scena, una profonda inquietudine mi attanaglia. Sento la tensione nei muscoli, come se fossi in attesa di un colpo. Le gambe sembrano pesanti, quasi bloccate, e il battito del cuore accelera, rimbombando nelle orecchie. È difficile respirare, e ogni respiro diventa un promemoria della mia forza inerte.

Mi guardo attorno cercando di cogliere qualcosa di ancora indefinito al mio subconscio. Le pareti bianche, quasi cliniche, sono rivestite di scaffali pieni di attrezzature. Provette, beute di vetro e strumenti di precisione che luccicano minacciosamente.

Gli schermi di computer mostrano grafici e dati, illuminando il viso di chiunque vi si avvicini con un bagliore bluastro. Una lavagna è coperta di appunti scritti in fretta, formule complesse e disegni scarabocchiati. Fotografie appese ai muri che ritraggono persone e luoghi, alcuni familiari, altri estranei.

"Si guardi pure intorno, signor Finelli," dice l'uomo, mentre inizia a camminare in cerchio. Io lo osservo, analizzando i suoi movimenti lenti e comuni. Guarda il pavimento mentre si muove, trascurato ma non sporco.

Finalmente, si ferma, e un sospiro di sollievo scivola via dalla mia mente stordita, grata di non dover più sopportare quel costante fruscio di scarpe. "Come si sente?" La sua domanda mi confonde. La sua calma professionale è irritante, come se tutto questo fosse normale, e questo pensiero mi accende un'adrenalina che prega di essere scaricata sulla sua faccia.

Sento il cuore battere furiosamente nel petto, l'istinto di colpire che si fa sempre più forte. "Come mi sento?", urlo. Le parole rimangono sospese nell'aria, ora silenziosa. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 21 ⏰

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