Mi hai fatto perdere
il sonno
e la testa.
PsicologiRiesco a percepire il profumo leggero. Dolce. Lascio scivolare le mani su lunghe onde marroni. Le sue oasi autunnali penetrano nei miei fondali gelidi. Guance rosee e labbra socchiuse. Lascio quelle ciocche, che ricadono morbide sulle spalle nude. Aggancio strette le mani sui suoi fianchi sottili e fragili. "Dimmi che mi ami". Sussurro.
Lascio affondare l'illusione appena spalanco gli occhi furiosi. Il buio familiare della stanza mi circonda silenzioso. Serro i pungi e mi sollevo, lasciando che le coperte mi scoprano, ricadendo nella piaga tra le mie gambe e il bacino. La vista inizia ad abituarsi all'oscurità e la scrivania di fronte alla pediera del letto prende la forma spigolosa di sempre. Scaravento le coperte in aria e mi slancio in piedi. Riesco a percepire la sua pelle morbida tra le pieghe delle mie mani. Tendo i palmi e strofino le dita, una dietro l'latra, sulla pelle ruvida, come se potessi percepire il suo corpo nudo.
Sto per impazzire. Voglio guardare il suo viso ingenuo assopito dalla lussuria mentre la sbatto con foga. Voglio che gridi per il piacere che solo io posso darle. Voglio scoparla fino a farle tremare quelle fottute gambe. Le mie sopracciglia sono così aggrottate da pungere fastidiose la mia stessa fronte. Parte della mia razionalità rifiuta di credere che quella ragazzina sgusci nelle falle del mio subconscio e ne invada lo spazio.
Cammino avanti e indietro per la stanza, ripensando a Meri e ai liquidi versati sulle dita delle mie mani. La penso così veemente, che la mia asta acquista durezza in poco tempo per le immagini riflesse nelle mente. Lo premo con il palmo della mano per trovare un posizione meno dolorosa. Piego la mia eccitazione, come piego la fantasia di poterla scopare.
Esco dalla stanza a passo svelto. La realtà che vivo mi sbatte addosso. La quiete impregnata nell'aria è così fastidiosa da volerla urtare e rompere. Entro in bagno, schiaffeggio l'interratore della luce, per accenderla. Sbatto la porta sullo stipite, la blocco girando la chiave nella serratura. Afferro il bordo del lavandino e lascio la testa pendere dal collo. Stringo le mani ad un punto tale che la ceramica fredda surriscaldata dalla sollecitazione, pizzica la pelle.
Scatto e apro bruto il rubinetto; l'acqua schizza violenta nel lavabo usurato. Ascolto il suono del getto corrente e poi chiudo le mani, formando una conca con le dita. Piego la schiena in avanti e mi bagno il viso caldo e sudato, cercando di spegnere l'eccitazione provocata dalle illusioni su Meri. Raddrizzo il corpo , "cazzo", impreco. Il riflesso fissa i miei occhi, ora riempiti della sua presenza incessante.
Torno in camera e serro anche quest'ultima. Spalanco le tende, lasciando la luce del sole filtrare in quella disordinata e malinconica stanza che si infrange sui libri aperti e i vestiti ammucchiati. Siedo sul bordo del letto, con i gomiti puntati sulle cosce. Chiudo il retro del mio collo con le dita intrecciate. La mia esistenza è così lurida che sovrasterebbe qualsiasi scintilla. Definirla immeritevole è commiserabile e patetico.
Passi svelti di qualcuno, corrono veloci sotto lo spiraglio della porta, illuminate da una luce bianca intesa, di passaggio. Mi accanisco sulla porta e nella foga di prendere la chiave, scivola dalla serratura. Non le lascio il tempo di collidere con il suolo, che la acciuffo di inerzia. Sblocco la porta e la spalanco con violenza. L'ultima persona che voglio vedere in questo è mio padre. Anche se l'unica colpevole di questa vita, è mia madre.
Sospiro appena vedo Derek, con la torcia del cellulare accesa. Resta immobile di schiena, per il mio stesso timore di incrociare Erik. Si volta piano e l'ho raggiungo con passi lenti e calmi. Fa un mezzo giro per scoprire il volto della sagoma alle sue spalle, ma la mia mano posa già sulla sua spalla. "Chris?". La sua voce trema. "Sì", dico ponendo fine all'incantesimo che lo ha paralizzato. Volta il viso fin quanto il collo glielo permette e, dal quel poco, riesco a intravedere i suoi occhi vibrare. "Cosa fai qui a quest'ora?". Son le cinque del mattino, o poco più, e la sua presenza è bizzarra per l'ora che è. Rimane con il corpo teso, la torci che punta sulla porta semi chiusa di camera sua. "Non avevo sonno". Mi infastidisco per la durezza della sua risposta e lascio cadere la mano a penzoloni dalla sua spalla. Senza dire alcuna parola, Derek riprende a camminare verso camera sua, attraversa la porta cigolante e prima di chiuderla mi guarda con un occhio attraverso lo spiraglio.
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𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑳𝒐𝒗𝒆
Roman pour Adolescents𝘚𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘰𝘮𝘣𝘳𝘦 𝘪𝘯 𝘶𝘯 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰 𝘥𝘪 𝘭𝘶𝘤𝘪, 𝘱𝘳𝘰𝘯𝘵𝘦 𝘢 𝘴𝘷𝘢𝘯𝘪𝘳𝘦 𝘦 𝘳𝘪𝘦𝘮𝘦𝘳𝘨𝘦𝘳𝘦. 𝘝𝘰𝘤𝘪 𝘪𝘯 𝘶𝘯 𝘤𝘰𝘳𝘰 𝘥𝘪𝘴𝘴𝘰𝘯𝘢𝘯𝘵𝘦, 𝘤𝘦𝘳𝘤𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘶𝘯'𝘢𝘳𝘮𝘰𝘯𝘪𝘢 𝘪𝘮𝘱𝘰𝘴𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦. 𝘝𝘢𝘨𝘢𝘣𝘰𝘯𝘥𝘪 𝘴𝘦�...