𝑀𝑒𝓇𝒾

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Noi che abbiamo l'Anima,
moriamo più spesso.
Emily Dickinson



Quella maledetta sveglia costringe a girarmi per spegnerla. Ritorno di schiena e sbatto le braccia sulle coperte. Sollevo il busto, puntando i gomiti sul piumone e in quel momento stanza diventa un mix di malinconia e romanticismo, dove i libri di pasticceria si intrecciano con i ricordi di una lunga sera passata a studiare.

Allungo le braccia per uno stiracchiamento lento e soddisfacente e la mia schiena scricchiola arrugginita. Affondo i piedi nelle mie pantofole, nonostante il caldo si stia facendo sentire in questi giorni.

Scendo le scale e il profumo del caffè appena fatto mi avvolge, risvegliando i sensi e infondendomi l'energia sufficiente per dirigermi verso la Moka, ancora calda sul fornello. "A che ora torni oggi?", chiede mia madre, con lo stessa ansia di sempre. "Alla solita. Verso le 13:40 sarò a casa" rispondo distrattamente, intanto che verso il caffè nella tazza. "Va bene, stai attenta," conclude. Ogni. Singola. Mattina.

La corriera attende con il suo abituale rombo metallico e il suono stridulo delle porte che si aprono e si chiudono, gratta le orecchie. Salgo i gradini e siedo accanto al finestrino. Appoggio la testa contro il vetro freddo, lasciando che lo sguardo si perda nei campi verdi e nelle colline che sfilano rapide davanti a me. È un tragitto che potrei percorrere ad occhi chiusi, eppure ogni volta noto qualcosa di nuovo, un dettaglio che cattura la mia attenzione per un istante, prima che la mente inizi a vagare.

In quel momento mi trasformo nella famosa ragazza di un film.

Arrivata a Torino, il caos fuori dalla stazione si presenta con il solito mosaico di volti affrettati, insegne luminose e brusii incessanti di una folla sempre irrequieta. Stringo i manici della borsa di stoffa appesa alla mia spalla, aspetto i soliti minuti, prendo il solito pullman, scendo alla solita fermata. Passeggio lenta sul solito marciapiede, osservando il solito paesaggio, differenziato nel tempo solo dal cambio delle stagioni. Sono una delle poche ad arrivare così presto la mattina, ma il corridoio vuoto e silenzioso è diventato il mio confort preferito.

Oltrepasso le mura fredde, con i passi che riecheggiano nelle pareti grigie. Passata la soglia della classe di cucina, l'odore confortante di burro e vaniglia accoglie i miei sensi. "Ciao, Alex," saluto il mio solito compagno di banco, intanto che sistemo la giacca sull'appendi abiti affianco alla porta. Mi guarda, seguendo i movimenti. "Ciao stupenda. Fatti i compiti per casa?", chiede con un'aria ironica, ma nello stesso tempo seria.

Alzo le sopracciglia e socchiudo gli occhi. "Ovviamente," dico sollevo le braccia di lato, parallele alle spalle per darmi arie. La classe si riempie nel giro di pochi minuti e gli ultimi studenti sono accodati dalla bidella, portatrice di informazioni. Come da voci di corridoi, viene annunciato il pensionamento del nostro professore di cucina, sostituito dall'emergente chef Morrison, noto per aver aperto ben due ristornati stellati alla tenera età di ventisette anni. Si scatenano brusii crescenti, smorzati subito dalla presenza silenziosa del professor Morrison sull'uscio della porta.

Oh. Porca. Puttana.

Scruto la sua siluette dall'alto verso il basso, con le bave alla bocca. Cammina lento, con braccia sicure che pendono, nude per metà. I suoi bicipiti massicci, tirano il tessuto stirato della camicia nera. Se contrae quel ben di Dio il tessuto si sfracellerebbe in un attimo, ma appagherebbe la nostra vista. Le osservo piegarsi per unire le mani parallele alle labbra, che sfrega lente mentre si rivolge alla classe. I suoi occhi marroni, si schiarisco sotto i raggi del sole, filtranti dalla finestra, e i suoi capelli coincidono con lo stesso colore delle sue pupille, abbastanza lunghi per rivelare i morbidi ricci scomposti sulla fronte.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑳𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora