𝒞𝒽𝓇𝒾𝓈𝓉𝑜𝓅𝒽𝑒𝓇

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Mi veniva da piangere,
ma non ci riuscivo. Provavo solo
un'amara stanchezza.
Charles Bukowski


La vedo correre fuori dal motel, con il viso segnato dalla notte insonne e movimenti agitati. Solo allora, mi sento libero di accendere il motore. Le mani mi tremano leggermente mentre stringo il volante, osservando la sua figura allontanarsi in fretta, come se stesse fuggendo da un incubo.

Sospiro, il rombo del motore rompe il silenzio soffocante che avvolge il parcheggio. Finalmente, posso andarmene. Stacco lo sguardo dalla porta del motel, ancora aperta, e senza voltarmi più indietro, premo l'acceleratore, lasciando quel posto alle spalle.

Una strana sensazione di vuoto mi assale, mentre guardo dallo specchietto la strada dissolversi. Il pensiero che  Meri si sia completamente concessa a me mi conferma la sua ingenuità. 

Stronzo.

Era veramente convinta che avessi passato tutta la notte con lei, come se fossimo una coppietta del cazzo. Lei è così... così... non lo so. La sua disperazione nel cercare un uomo che la ami, la porterà solamente ad auto sabotarsi. 

"Non c'è nessun noi".

Mi fermo al semaforo, e il sole, alto nel cielo, illumina come un faro rigoroso. La luce mi abbaglia, e per un attimo, tutto sembra sfocato. Ma è in quel momento di vulnerabilità che intravedo una figura sulla strada dissestata, il terreno irregolare e pieno di buche che sembra assorbire il dolore di chi lo attraversa. Il cuore mi si ferma.

Erik.

È accasciato sul ciglio della strada, avvolto in un ammasso di cartoni, come se avesse cercato di costruire un rifugio tra i rifiuti che lo circondano. Il semaforo scatta sul verde, ma rimango un attimo immobile, prima che un impulso irrefrenabile mi fa premere l'acceleratore. L'auto sfreccia in avanti, ma il mio sguardo è incollato a lui. La bile cresce dentro di me, una rabbia silenziosa mi ribolle nel petto.

Un brivido mi attraversa mentre il volto di mia madre emerge dalla nebbia dei ricordi, come un fantasma che si rifiuta di essere dimenticato. 

Freno bruscamente di fronte a lui, le gomme dell'auto stridono sull'asfalto mentre il motore borbotta, protestando per la mia decisione improvvisa. Il cuore mi martella nel petto mentre scendo, il caos si mescola a un crescente senso di furia.

Sbatto la portiera con tanta forza da farla quasi urtare contro un paletto. Mi avvicino a Erik con passi rapidi e decisi, e il mio sangue bolle mentre lo vedo accasciato lì, circondato da un ammasso di cartoni e rifiuti.

Lo guardo per un attimo dall'alto: dorme. I vestiti intatti e puliti, ma il suo volto è segnato da una serie di lividi e graffi. I capelli, scompigliati e trascurati, cadono su un lato del viso, accentuando la sua espressione sofferente, ma non suscita in me nemmeno una briciola di pena. Al contrario, la sua vulnerabilità mi fa sentire una fredda soddisfazione.

Con gesto meccanico, afferro il colletto della sua polo azzurra con una mano e lo tiro su con forza, portandolo faccia a faccia con me. I suoi occhi si aprono di scatto e le sue iridi reagiscono alla luce del sole, stringendosi.  Vorrei colpirlo, infliggergli altro dolore, come facevo con il sacco da box quando il rancore mi consumava. 

"Figliolo," mi dice, l'alito intriso di alcol e disprezzo, mescolato a un tentativo goffo di apparire calmo. Figliolo...? Non è mai stato un padre, né un mentore. Un uomo così piccolo e disgustoso. L'unica cosa che mi ha trasmesso è l'odio che provo per lui.

"Dove cazzo è Derek?", gli urlo in faccia, squarciando quell'atmosfera teatrale che si stava creando. Non ricevo risposta, solo un sorriso beffardo che si allarga sul suo volto segnato da una vita piena di alcool. 

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑳𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora