𝑀𝑒𝓇𝒾

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Mi sarei messa volentieri 
nel letto a piangere,
ma non potevo.
Manuela G.


Sono ancora nel letto, avvolta in un lenzuolo arruffato che profuma di notte insonne, quando mio cellulare inizia a squillare con insistenza. I suoni metallici rimbombano nella mia mente confusa, mentre mi destreggio tra i cuscini disordinati per trovarlo. Finalmente, le mie dita afferrano il dispositivo, e rispondo d'istinto, ancora intrappolata nei ricordi di una serata che avrei dovuto dimenticare.

"Pronto," dico, cercando di liberare le ciocche di capelli appiccicate al viso e sistemarle con un gesto distratto dietro le orecchie.

"Buongiorno, signorina Cavallero. Dove si trova?". La voce dall'altra parte del telefono è autoritaria e un brivido di riconoscimento mi percorre la schiena. Comincio a sintonizzarmi con la realtà, e nella mia mente scorrono rapidamente le immagini di ieri sera: luci soffuse, baci e un'attrazione innegabile.

"Sei sicura".
"Sei ancora vergine, cazzo!".
"Ti sto facendo male?".
"Vieni Meri. Vieni per me".
"Non c'è un 'noi'".
"Abbiamo solo scopato".

Riemergo dai ricordi invasivi nel momento in cui la voce al telefono diventa sempre più insistente, strappandomi dal mio torpore. "Scusi, ma lei chi è?". La domanda scivola via con tono stizzito, come se infastidisse i miei pensieri e il momento di dolore che sto rivivendo.

"Chi sono?". La sua voce, ora carica di impazienza, solleva in me un misto di confusione e inquietudine. Stacco il telefono dall'orecchio per guardare il display, ma vedo solo una serie di numeri disordinati, familiari ma sfuggenti, e questo mi disorienta ulteriormente.

"Sono Morrison, il suo ex professore e, non dimentichi, il suo datore di lavoro." La sua voce ora è ferma, quasi minacciosa, e il peso della responsabilità mi schiaccia il petto.

MERDA! 

Mi alzo di scatto, il cuore che batte all'impazzata. Ricordo di aver firmato un contratto lavorativo solo il giorno prima. La consapevolezza che il mio futuro professionale e il mio passato personale si siano intrecciati in modo così scomodo mi lascia frastornata.

È possibile che le mie decisioni abbiano delle conseguenze così immediate? 

La sensazione di avere ancora i vestiti di ieri addosso mi disgusta. Corro in bagno e sciacquo la faccia con acqua gelida, cercando di schiarire la mente e risvegliare i sensi. Sistemando il colletto della camicia disordinato, dopo averlo visto allo specchio. Striscio pesantemente le mani sulla stoffa, cercando di rimuovere le pieghe lasciate dalla notte.

Con un gesto frettoloso, mi lego i capelli in un crocchia, un movimento quasi automatico. Grazie a Dio, ho sempre un elastico al polso. Faccio una pausa, indecisa, prima di bere dell'acqua dal rubinetto calcificato; alla fine, mi costringo a farlo. Non posso andare al lavoro con questo alito.

Oddio, che strano: ho un lavoro.

Un rapido annusata alle ascelle mi conferma che non sono un campo di fiori. Esco dal bagno, inciampando in un tavolino accanto alla porta. Raggiungo comunque la borsa ancora a terra dalla caduta, allungando le mani in un gesto di disperazione. Frugo nel suo interno e trovo il mini deodorante. Lo spruzzo casualmente sotto le ascelle, sperando che possa coprire il disastro.

Mi alzo e corro fuori dalla stanza, anche se nella fretta di chiudere la porta, si riapre dall'eccesivo urto sullo stipite. Mi volto a guardarla dispiaciuta, ma sono già troppo in ritardo per tornare indietro.

Saltando gli ultimi due gradini delle scale, raggiungo la hall. Esco, incurante del ragazzo dietro al banco della reception. "SIGNORA!", mi urla dietro. Mi blocco all'istante, girandomi di scatto e fulminandolo con uno sguardo carico di irritazione.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑳𝒐𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora