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JUMP, JUMP

La Mercedes si insinuava per le vie degradate dell'hood. James allungò la vista fuori dal finestrino. I colori rossastri del tramonto tinteggiavano a lunghe scie il cielo, spandendo riflessi dorati tra i palazzoni di un grigio spento. L'afa dei primi giorni di agosto era persistente e una cappa stagnante di umidità imprigionava la città.

Mark gli chiese: «Come procede l'attività? Buone entrate?»

James riportò lo sguardo all'interno dell'abitacolo. «Sì, alla grande. Ogni giorno che passa i clienti aumentano. Agisco di soppiatto, senza farmi notare... in questo modo è anche più facile vendere senza riscontrare fastidiosi grattacapi da parte di pusher più conosciuti, che potrebbero ritenermi un intralcio.»

«Stai facendo la cosa giusta.» Mark si accinse a effettuare un sorpasso. «Sapevo che avevi del potenziale. Continua così, conto su di te!»

James era elettrizzato. Si stavano dirigendo alla festa, che si teneva nel ghetto controllato dalla gang di Mark. Lui era passato a prenderlo, rombando l'automobile di fronte a casa sua per avvertirlo del suo arrivo. James era uscito col passo scattante, scordandosi di salutare sua madre. Gwenda l'aveva osservato senza dire nulla.

«Ieri sono passato a trovare Lucas. Domani mattina lo dimettono. In generale non mi fido molto dei medici, ma devo ammettere che l'operazione è stata svolta nel migliore dei modi... c'è da dire però che ci vorrà del tempo prima che possa riprendere a camminare», dichiarò Mark. Si muoveva con destrezza tra le strade conosciute svoltando ripetutamente a destra e sinistra.

«Stampelle?»

«Proprio così. Ogni volta che ci ripenso, mi mangio le mani sapendo che avevo quel bastardo di Jacob nel mirino!» Mark affibbiò un pugno al volante.

Si stavano inoltrando nella parte più interna e nascosta del ghetto. James non c'era mai stato. Il quartiere criminale era collocato in una zona della città opposta alla sua, quella sud, e gli erano giunte voci di quanto fosse pericoloso entrarci. Cresceva in lui la sensazione di essere a migliaia di chilometri da casa. Era la stessa città che incorporava il suo quartiere, popolato da famiglie rispettabili e pacifiche?

Mark si sporse di lato e aprì il vano portaoggetti. Una semiautomatica fece la sua comparsa tra documenti scarabocchiati e una confezione di sigari cubani. «Hai visto?! È una Glock, un vero gioiellino.» Mark con un cenno della mano lo invitò a prenderla in mano.

James la impugnò per il calcio, titubante. Era inaspettatamente leggera. Fece scorrere il pollice sul carrello dell'arma. L'acciaio era freddo al tatto. «Con questa sì che ci si sente al sicuro.» Se la rigirò tra le mani, poi la ripose nel cassetto.

«Non si sa mai a cosa si va incontro... e io voglio avere il culo parato in ogni situazione», sentenziò Mark.

Una combriccola di ragazzini di colore era infervorata nello scambiarsi pungenti barre di freestyle sotto l'umile insegna di un emporio.

Mark proruppe: «Ci siamo. Là dentro ci divertiremo alla grande!» Indicò un grosso edificio quadrato, in cemento. Era costeggiato in ogni lato da finestre di vetro opaco, divelte o percorse da crepe.

Mark piazzò la Mercedes vicino ad altre macchine di media e grossa cilindrata. James smontò e gli stette dietro.

Fiancheggiarono un gruppetto di neri appollaiati su un muretto. Uno di loro, alticcio, ingollò un sorso di birra ed esclamò: «Eilà Mark, anche tu qui stasera a far baldoria, eh?» Un durag nero gli bendava la testa a punta.

Mark rispose prontamente: «Ogni tanto bisogna svagare e staccare il cervello, fratello».

James si accorse che lo stavano fissando con fare sospettoso. Mark, come se avesse colto la stessa cosa, puntò l'indice verso di lui e aggiunse: «Stasera ho portato anche lui, uno dei miei spacciatori più promettenti».

Summer '98Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora