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Dopo una brutta discussione, una ragazza dai capelli neri uscì di casa, sbattendo dietro di sé la porta.
Così iniziò la giornata di Clementine, litigando con la sorella minore di 14 anni. Rimase davanti alla porta di casa, col fiatone e colma d'odio.
Il suo più grande desiderio era quello di essere figlia unica. Ma invece aveva due sorelle minori, Caterina e Christianna.
E per fortuna viveva solo con Caterina; l'altra sorella viveva in America.
La madre stava per sgridarla di santa ragione, ma lei se ne scappò in camera.
"Meglio che contatti Nancy prima che mi venga un attacco d'ira." pensò.
Quando fu in camera sua, prese il portatile.
Si nascose tra le coperte del suo letto, accendendo il pc nero con un sorriso sulle labbra rosse e andò su Skype, chiamando così la sua migliore amica Nancy.
- Hey tizia, ci sei? - domandò la corvina.
- Ciao, Clemmy! Come va, tutto bene? - la salutò tranquilla l'amica dai capelli castani.
Per qualche secondo, l'altra rimase un po' titubante sulla risposta da dare.
- Hai litigato con Cate, vero? - le domandò leggermente triste per lei.
- Come sempre... - rispose Clem, rassegnata.
- Oh... mhm... ah ha! So io come tirarti su il morale!
Indovina: ho due biglietti per un posto magico chiamato cinema - la stuzzicó con uno sguardo vivace.
- Non ci credo... - mormorò con un sorrisone.
- Il film che volevi tanto vedere? Bhe, SORPRESA! - esultó.
- YEEEEEEEE!!! - gridò Clemmy come una bimba di 6 anni.
Ma subito dopo, l'amica assunse uno sguardo scocciato, come se avesse ricordato di dover far qualcosa.
- Scusami, ma devo proprio andare. A presto! - la salutò Nancy.
- Ciao ciao, cara. - si congedó Clementine.
La loro conversazione si concluse ma la gioia durò ben poco perché la madre della sedicenne la chiamò dalla cucina.
- CLEEEEEM! VIENI QUI! -
- Arrivo, mamma... - sbuffando, andò in cucina dove la madre la stava aspettando con le mani ai fianchi.
- Clem, tu non puoi litigare con tua sorella ogni santo giorno...!
Sai quanto io lavoro per farvi vivere una vita decente? Non chiedo molto, vorrei solo che voi due andaste d'accordo. - iniziò la sua supplica la madre dai capelli castani, un po' più bassa della primogenita.
- Scusa... - mormorò Clementine.
Era vero ciò che le diceva, ma che ci poteva fare se Caterina iniziava a strillare come una dannata appena le si rivolgeva parola?
- Non ce la faccio più con voi due! Dovreste andarvene da quello stronzo di vostro padre: forse lui vi insegnerà le buone maniere! - era rossa di rabbia la donna.
Queste litigate erano giornaliere, ormai.
I problemi erano tanti e certo non ci si può aspettare la tranquillità da una famiglia con problemi economici e personali.
La situazione, però, era diventata fin troppo pesante per la ragazza. Chissà com'era che non fosse ancora depressa.
- E allora mamma, mandami da lui. Fallo. Tanto per me questa non è una famiglia. Magari da papà starò meglio, chi lo sa.
Chiamalo e vedi di fargli fare i biglietti. - le rispose con sfrontatezza, impettendosi e lanciando uno sguardo di sfida alla mamma.
- Vattene in camera tua, sì? Vattene. Ne ho avuto abbastanza per oggi. - la punì, con la voce piena di disappunto.
Clem girò i tacchi e se ne tornò in camera, sedendosi davanti alla porta chiusa e con la testa nascosta tra le gambe. Calde lacrime scendevano dagli occhi nocciola della sedicenne.
Forse era una reazione esagerata? No, per niente. Ormai era agli sgoccioli, non sopportava più nessuno.
" Da quanto tempo non piangevo...? Finalmente posso liberarmi un po' ".
Clementine fu colta di sorpresa dalla madre che bussò alla sua porta.
- Clementine? - la chiamò.
- Che vuoi... ? - ringhió alla donna, ancora molto arrabbiata con lei.
- Tuo padre ti vuole al telefono. Su, apri la porta. -.
Lui... colui che le rovinó l'esistenza con la sua voglia di farsi un'altra donna che non fosse la sua ormai ex moglie.
E Clem già sapeva cosa le avrebbe detto: tratta bene tua madre e tua sorella, ascolta sempre la mamma e bla bla bla. La solita cantilena.
Aprì la porta e le strappò il telefono da mano, salutando con un velo di disprezzo il padre.
- Clemmy, tua madre mi ha raccontato tutto... perché ti comporti così?
Caterina continua con il suo comportamento? - le chiese dispiaciuto, provando a parlare in italiano.
- Sì... tanto l'ho sapevo che non era una "fase": fa così da almeno due anni. E io ho davvero poca pazienza.
Se davvero mi ami come figlia, fa dei biglietti e fammi tornare in America. - gli disse con freddezza e rabbia repressa, rispondendogli in inglese.
Clementine, quando poteva, parlava in inglese che in italiano. Lo preferiva per una qualche ragione.
- Ormai me lo chiedi da tempo... e va bene. Ti farò tornare da me, ok? Nel mentre, fa come ti ho sempre detto: ignorala. Fa finta che non esista. -
- Sì, papà... anche se mi è quasi impossibile, ci proverò. - finalmente si stava calmando.
- Bene, sappi che ti voglio bene e che non ti do torto. Caterina ha il suo caratterino come tu hai il tuo.
Ora devo tornare a lavoro, ci sentiamo in questi giorni. - dolcemente la consolò.
- Ci sentiamo. - Clem chiuse la chiamata, seccata ma più tranquilla.
La madre riprese il telefono, sconsolata.
- Clemmy, mi dispiace che tu debba vivere tutto questo: so che questi problemi si sono creati a causa mia, ma per favore... porta pazienza. - la mamma la strinse a sé con un abbraccio.
- Non preoccuparti, mamma... non è colpa tua.
Ma ormai ho finito la pazienza. - l'adolescente sciolse l'abbraccio.
- Me ne starò in camera. Per favore, non disturbarmi. - si chiuse in camera, spezzando il cuore alla povera mamma.
E passò il pomeriggio al computer e a disegnare nel suo album, ascoltando musica fino all'ora di cena.
Sua sorella, ovviamente, non si presentò al cena perché andò da un'amica a passare la notte.
Clementine, dopo la cena silenziosa, tornò al suo piccolo mondo di fantasia.
Si mise sotto le coperte, a luci spente, e chiuse gli occhi.
- Oh... - sussurrò.
Andò in trance: iniziò il suo viaggio immaginario.
Immaginò due figure: una poco più alta di lei e un'altra così alta che doveva alzare la testa.
La prima la mise meglio a fuoco, riconoscendo il ragazzo che secondo lei la seguiva dovunque lei andasse.
Era da un anno che accadeva ciò e all'inizio ne parlò a sua madre e alla polizia, ma nessuno riuscì ad acciuffare nessuno. Alla fine Clem si rassegnò che la sua mente lo creava come sorta di conforto.
Infatti lei aveva incominciato a vederlo come un guardiano, o qualcosa del genere.
Ma l'altra figura? Oh no, quella la vedeva da sempre.
Se la ritrovava nei suoi sogni addirittura. Per lei, quella creatura che si nascondeva sempre nel buio e che vedeva solo con la coda dell'occhio le incuteva terrore.
La tormentava così tanto che ogni volta che le pareva di avvistarlo, si sentiva male: nausea, confusione, quasi mai riusciva poi a reggersi in piedi e doveva riprendersi per almeno un'ora prima di far altro.
Ogni volta che vedeva quelle due figure nella sua mente era come vedere il bene e il male; colui che la voleva proteggere e colui che la voleva far impazzire.

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