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Quella notte fu il delirio totale: dei forti rumori svegliarono John che trovò la figlia svenuta in cucina in un lago di sangue.
Chiamò l'ambulanza e un'ora dopo, tutti quelli che erano presenti in casa erano nella sala d'attesa dove gente andava e veniva, con la tensione che si sentiva nell'aria. 
Clementine fu portata d'urgenza in sala operatoria per fermare il sangue e chiudere le ferite.
Oramai erano quasi le 9 del mattino all'ospedale e il padre, la sorella e la migliore amica di Clem erano ai piedi del suo lettino.
Avevano molta paura per lei.
Erano passate ore dall'intervento, eppure la ragazza non dava segni di volersi svegliare.
Uno scatto improvviso della mano e subito dopo il gonfiare innaturale del petto di Clem fecero illuminare gli occhi dei presenti di speranza.
Clementine spalancò gli occhi e si mise subito a sedere, il cuore le batteva velocissimo. Era nel panico più totale, sudava e ansimava.
- Clemmy, va tutto bene! Calmati adesso. - la rassicuró Nancy.
L'altra si calmó per un momento, ma poi subito riprese ad affannare il respiro, tenendosi una mano al letto e un'altra che si stringeva in un pugno, con le unghie che quasi si conficcavano nella carne.
- V-VIAAA! - con un gesto della mano tentò di colpire l'amica.
Aveva uno sguardo spiritato e terrorizzato.
- NON. VI. AVVICINATE. - continuava a respirare rumorosamente.
- Clem... mi spaventi... - mormorò con un filo di voce la bimba.
- Clementine! - il padre si avvicinò a lei per prenderla e calmarla, ma la paziente era peggio d'un cane con la rabbia.
- Cosa? Cosa cazzo vuoi!? Non vedi che sto male?! VOGLIO STARE DA SOLA! - era su tutte le furie.
Aveva ambe le mani al petto, in agonia. Lacrimava e gemeva.
Nancy le si avvicinò lentamente, cercando di accarezzarla, ma più si avvicinava più l'altra si allontanava dalla sua mano, come se ne avesse avuto paura.
- Che ti succede? - le chiese con tenerezza.
- An-andateneve... vi prego... potrebbe prendere anche voi... - sussurró la corvina.
- Che stai dicendo? - domandò il padre.
- LUI! LUI VI PRENDERÀ SE NON MI LASCERETE!
GIÀ HA ME IN PUGNO. SONO IL SUO BURATTINO! HA CERCATO DI UCCIDERMI! - sbottò per poi nascondere la testa tra le gambe a mo' di riccio.
- Ormai gli appartengo... mi sta avvisando... e se non lo ascolto, vi capiterà qualcosa di brutto... - tremava. Era terrorizzata.
Blaterava e farneticava qualcosa, passando dall'italiano all'inglese in modo insensato. 
- Nessuno ti tocca e nessuno ci toccherà... calmat- - l'uomo fu interrotto da uno scatto d'ira della figlia.
- NON È VERO! E come si spiegherebbe tutto quello che mi sta succedendo?! - scoppiò in un pianto isterico.
- Sono stata rapita da lui... soggiocata da lui... trascinata di qua e di là dai suoi orribili tentacoli... - Clem si mise a tossire così forte che sputò del sangue.
- Per favore... abbandonatemi. Almeno voi vi salverete... - li supplicava.
Christianna aveva il viso rigato di lacrime mentre abbracciava il padre; Nancy era pallida come un lenzuolo, sentendosi il mondo crollare addosso a ogni parola della sua migliore amica.
- Papà... quel mostro esiste per davvero... mi devi credere... - mormorò piagnucolando.
Le faceva male il petto e la gola, per non parlare del viso che se lo sentiva ardere come un rogo.
" Paura... tanta paura... " pensava la povera Clementine.
Nancy fece un respiro profondo e decise di riprovare ad andare da lei. Fece dei passi in avanti verso l'amica, ma quest'ultima indietreggió.
- Clemmy... - si sedette ai piedi del letto.
- A-allontanati... ti prego... - mormorò l'altra.
Le afferrò le mani con forza mentre lei le strattonava.
- No. - le disse con sicurezza.
- Noi non ti abbandoneremo... IO non ti abbandonerò e mi colpisse un fulmine se non sto dicendo la verità.
Ti porteremo via dal mostro e ti proteggeremo. Te lo giuro. - le accarezzava le mani coi pollici.
Ma Clem continuava a tremare e a guardarsi attorno, spaventata come un cucciolo di cane durante una tempesta. Singhiozzava in silenzio, con le lacrime che non si fermavano.
Allora Nancy le lasciò le mani e iniziò ad accarezzarle la testa.
- Shhhh, ora... rilassati e prova a tornare in te. - le disse con più dolcezza.
- S-sorellona...? - la ragazzina lasciò il braccio del padre.
- Sorellona? - ripeté, avvicinandosi di poco.
Clementine sospirò, smettendo gradualmente di annaspare e di tremare.
Alzò lo sguardo verso Christianna.
- Scusami... non mi vedrai più piangere, sorellina. - le fece un sorriso debole.
Provò ad alzarsi per abbracciarla, ma aveva le vertigini ed un forte mal di testa che la stava uccidendo. Scosse la testa, cercando di riprendere lucidità.
- Stai meglio adesso, Clemmy? - le chiese Nancy.
- Credo... scusatemi per prima... non volevo preoccuparvi. - sospiró ancora mentre l'amica la faceva rimettere comoda a letto.
- Vorrei tornare a casa, però. - confessò Clem. I suoi occhi erano privi di luce.
- Certo... ora chiedo al dottore. - uscì il padre dalla stanza, distrutto come non mai.
Christianna si mise accanto alla sorella, prendendole la mano.
- Clemmy...? Lo sai che sei proprio bella... soprattutto oggi! - disse con fare sospetto.
" Mhm? In che senso...? " si domandò tra sé e sé.
Tastò con le mani le guance e senti le bende spesse: ecco perché non riusciva ad aprire bene la bocca!
- Non posso togliermi le bende? Sono scomode... -
- No, Clemmy. Le dovrai tenere per almeno una settimana... almeno credo. - ipotizzò Nancy.
- Mhm, okay... - mormorò l'altra, delusa.
John rientrò in camera.
- Mi spiace, Clem, ma dovrai rimanere qui per almeno un paio di giorni o più. - si rivolse poi alle altre due.
- E noi dobbiamo andare. Non possiamo rimanere qui... - andò dalla cara figliola e le diede un bacio sulla fronte.
- Avrei dovuto darti retta prima... mi dispiace così tanto, Clem... perdonami, per favore... - le disse a bassa voce, profondamente triste per ciò che aveva dovuto vivere la figlia.
Il padre si ricordò di quando, insieme alla madre di Clem, dovettero darle un nome: la chiamarono Clementine Loren Smith. Loren era in onore dell'attrice Sophia Loren ed entrambi volevano augurarle la sua stessa fortuna e talento.
Ma a quanto pare era stato inutile.
Clem lo abbracciò, anche se con poca forza.
- Non è colpa tua, papà... ora va'. Ci vediamo più tardi. - gli diede un bacio sulla guancia e lo lasciò andare.
Con dispiacere salutarono Clementine che fu lasciata sola in quella stanza di ospedale.
Da sola con le sue paranoie.

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