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Clementine si svegliò nel suo letto.
Le girava la testa e non si sentiva i muscoli delle gambe.
Sul comodino affianco a lei c'erano i fogli che aveva raccolto la notte prima, ma della torcia neanche l'ombra. Guardò l'orario sul cellulare che stava accanto ai fogli: erano le 11 del mattino.
- Ho fatto tardi... per scuola... - parlava anche se la sua bocca non ne aveva voglia.
Il suo sguardo mise a fuoco pian piano. Riconobbe il padre che stava addormentato su una sedia ai piedi del suo letto.
- Papà... ?- sussurrò.
" Mi ha portata lui qui? " si domandò. Pian piano, si tirò su e poggiò la schiena al muro.
Era tutto come la notte prima.
Ma allora cos'era successo? Aveva davvero rischiato di esser rapita dal mostro in nero?
- P-papà... papà... - lo chiamò più volte con un filo di voce.
John si svegliò e vide che la figlia era sul punto di crollare.
- Ora mi credi... ? -.
Ore dopo, Clem si lavò e si vestì: il padre aveva intenzione di portarla subito dalla sua amica psicologa, Katie. Aveva paura che la figlia fosse anche sonnambula e che quindi potesse correre dei gravissimi rischi come quella notte.
Prima di andare, il padre le consigliò di portare con sé i disegni, incluse le pagine che aveva sul comodino.
Si fece trovare all'ingresso come al suo solito con gli jeans, una maglia pesante e la sua giacca preferita. Era avvolta in una sciarpa bianca che metteva in risalto gli occhi cerchiati di nero, anche se aveva provato a truccarsi per un aspetto migliore.
- Andiamo, su... - anche la voce del padre era spenta quanto quella di Clem. Entrambi avevano passato una nottataccia.
Andarono in auto, il padre mise in moto il motore e partirono. Accompagnati dalla musica country di John, arrivarono allo studio della psicologa mezz'ora dopo.
Clem era estremamente in ansia.
Odiava già quel posto: odiava le pareti bianche, i poster con le frasi positive e d'ispirazione e la ciotola con le caramelle alla menta. Odiava particolarmente le caramelline alla menta.
Katie li accolse con molta gentilezza: era una donna di media statura, dai capelli castani e raccolti in una coda di cavallo. Gli occhi erano un mix di colori tra il verde, l'azzurro e il marrone.
- Quindi tu sei Clementine! Ah, tuo padre mi ha parlato molto di te.
Dai, andiamoci a sedere. - li accompagnò nello studio vero e proprio.
- Vuoi che tuo padre rimanga con noi? - le chiese.
Clem guardò prima Katie e poi il papà, infine scosse la testa e si mise a sedere sulla poltroncina davanti alla scrivania della psicologa. Si teneva stretta al petto il suo album.
- Allora aspettaci fuori, John. Se ti serve qualcosa, bussa pure. -
- Va bene... Clemmy, sta' serena, d'accordo? - si raccomandò lui e la figlia alzò il pollice guardandolo con occhi stanchi.
Il padre le salutò e se ne andò.
- Allora, Clementine... da dove vogliamo partire? Dai tuoi disegni? -.
La ragazza si avvicinò alla scrivania e posò l'album. Intrecciò le dita e guardò dritta negli occhi la donna.
- Da quando avevo 7 anni, vedo una creatura alta, magra e senza faccia che veste in smoking e mi segue ovunque io vada.
Ho le allucinazioni di vederla nella mia stanza o in posti buii e all'improvviso ho dei blackout dove vedo questo simbolo - partì in quarta col suo problema e sfogliò le pagine dell'album fino al disegno del cerchio con la X.
- insieme a sangue e immagini di boschi e foreste.
Ho la fobia del bosco eppure da quando sono qui in America, mi sono ritrovata ben due volte in un bosco dopo esser svenuta.
Inoltre credo di immaginare anche un ragazzo che prima, forse, sognavo di tanto in tanto che dice che questa creatura è buona e vuole solo giocare con me. - mostrò alla dottoressa il disegno del ragazzo che sognava, che assomigliava assai a Toby.
- E in più, ieri notte ho raccolto queste pagine in giro per un bosco dopo aver visto quel mostro e sono dovuta scappare via da esso prima che mi ammazzasse. - Clem batté i pugni sulla scrivania.
- Dimmi che c'è una cura a tutto questo. Dimmelo o mi ammazzo. - gli occhi erano luccicanti di ira repressa e ci volle un po' prima che si calmasse e si rimettesse a sedere composta.
- Clem... io non so che dirti. Ti potrei mandare in una clinica psichiatrica e lavarmi le mani.
Ma non voglio fare questo. Io voglio aiutarti realmente. - Katie si alzò per girare per la stanza con le mani dietro la schiena.
- Ti dirò la verità così com'è: sei schizofrenica. E probabilmente hai anche un'immaginazione più fervida del dovuto.
Un consiglio per non vedere le tue fantasie in vita reale è di scrivere. Fa un libro o un diario, ma racconta ciò che vedi come un racconto.
Sulla tua fobia dei boschi, bhe, non si può far molto con le fobie... ma credo che potremmo iniziare con una terapia con il VR e vedere come va: di conseguenza, questa creatura che tu vedi sarà collegata alla tua fobia e se si risolve quella, anche il tuo mostro sparirà.
Le allucinazioni e i blackout, come li chiami tu, sono una rappresentazione della tua schizofrenia.
Clem - la psicologa poggió le sue mani sulle spalle della ragazza.
- tu puoi guarire. E io e tuo padre ti aiuteremo a farlo.
Ma tu non dovrai mai più chiuderti in te stessa. Né starmene troppo tempo da sola. - le sorrise con amore.
E anche Clementine sorrise.
Allora aveva una chance di essere come gli altri. Non era del tutto pazza.
- Bene, parliamo di qualcos'altro o vuoi approfondire meglio? - Katie si andò a sedere sulla sua sedia nera.
- Mhm... vorrei approfondire... su tutto. -.
Dopo un paio d'ore, entrambe andarono da John che stava giocando sul cellulare.
- John... tua figlia è molto forte e ha voglia di esser aiutata, perciò in questi giorni ti chiamerò e ti farò sapere meglio sul cosa fare.
E... dovresti prendere un animale da compagnia a Clem. La aiuterebbe molto~ - fece l'occhiolino scherzoso a Clem che sorrise contenta.
- Ne sono felice. Tu Clemmy ti senti meglio? -
- Sì, mi sento già più libera. -
- Ne sono felice. Allora alla prossima, Katie. Grazie dell'aiuto. - le diede un abbraccio amichevole.
- E di che, alla fine questo è il mio lavoro. Sayounara, Clem! - la salutò Katie.
Passarono per la scuola di Christianna a prenderla e tornarono a casa.

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