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La mattina arrivò.
Clementine si svegliò con il viso sporco di polvere, lacrime e sangue.
" Sono svenuta... ? " si chiese.
Uscì correndo dal suo "bunker", accertandosi prim che non ci fossero uomini senza faccia nelle vicinanze. Ma poté tirare un sospiro di sollievo.
Andò alla finestra con la stessa velocità di un bradipo, trascinando i piedi. Era l'alba e tutti dormivano ancora.
Si affacciò alla finestra che dava sul lago e accanto si poteva vedere il bosco.
Sospirò e lasciò andare i suoi pensieri al vento, riempì i polmoni di aria pungente che le fece venire la pelle d'oca.
- E io che credevo di essergli scampata... - le gambe le vennero meno e si sedette a terra.
- Non posso farmi vincere... non da quella cosa. Non da quel mostro! - le nocche le si colorarono di bianco da quanto stringeva i pugni.
Si alzò dal pavimento e andò a prendersi dei vestiti dalla valigia; l'anta era intatta.
- Me l'ero tutto immaginato... già... - mormorò a se stessa per darsi forza.
Sgattaiolò in bagno per darsi una rinfrescata: guardandosi allo specchio, vide che le era colato del sangue dal naso e che il suo pigiama ne era sporco.
- Oh grandioso, un'altra volta. - seccata, si spogliò e aprì l'acqua per la vasca da bagno.
Alla fine, si immerse con l'acqua fino al mento.
- Quanto vorrei che tutta 'sta merda finisse... - calò la testa in acqua.
Ore dopo, la famiglia Smith era a tavola a fare la colazione.
John stava parlando di una delle sue ultime missioni come se fosse un'avventura alla Indiana Jones: alle due ragazze piacevano da morire le vicende che raccontava.
Il discorso, però, si rigirò al fatto che Clementine dovesse conoscere il quartiere e magari incontrare qualche nuovo amico.
- E porta con te anche Christianna. - disse a Clem serenamente.
Dopo la colazione, le due sorelle se ne andarono in bagno: Christianna si fece la doccia mentre lei si mise il trucco.
Canticchiando, mandava delle occhiate a Christianna che si asciugava i capelli neri.
Com'era cresciuta: sembrava proprio una signorina, una bellissima signorina.
Aveva gli occhi nocciola come i suoi e quelli del padre. La pelle era più ambrata della sua, ma i capelli erano lisci e fini come i suoi.
Al contrario di Caterina, la piccola le voleva un gran bene; e l'amore tra le due sorelle era reciproco.
Per Christianna, Clementine era un punto fermo, un qualcosa a cui aggrapparsi senza problemi.
Come una madre... la madre che ebbe per pochissimo, purtroppo. Per lei era la forza e l'amore materno, la persona di cui si sarebbe potuta fidare ciecamente.
Quando ebbero finito, finalmente uscirono di casa.
Presero a camminare per il quartiere, fianco a fianco.
- Vuoi vedere la tua nuova scuola? - le domandò la ragazzina di quasi 10 anni.
Clem accettò.
La ragazzina la accompagnò fino ad un'enorme edificio.
- "Rosswood High School" - lesse Clem.
- La migliore in città. - la informò fiera l'altra.
- Questa è la mia scuola? - la guardò Clementine con leggero timore.
- Sì, perché? -
- Non mi sono mai piaciute le scuole... - le spiegò imbronciata. Non volle nemmeno ripensarci a tutte le volte che finì nei guai a causa del suo... comportamento particolare.
- Oh, ma dai! E tu dovresti essere la maggiore! - la prese in giro ridendo e dandole una gomitata scherzosa.
- Già. - ridacchió l'altra.
" Spero solo che niente vada storto...".
Tornarono a casa, dopo aver parlato a lungo di come avevano passato gli ultimi mesi ed di altri argomenti ancora.
Clementine se ne andò in camera per disegnare un po' sull'album.
Ed intanto i pensieri iniziarono a riempirle la testa di paranoie ed incertezze.
" Non posso raccontare nulla a papà a proposito dei blackout e... di quello che ho immaginato ieri.
Mi manderebbe da uno psicologo o addirittura in una clinica psichiatrica! E io non ci voglio andare...
Che odio! Ma perché ho così tanti problemi mentali? " strinse forte forte la matita, arrabbiata con se stessa. Prese un bel respiro.
" No no, Clem. Controllati... non è nulla che tu possa risolvere: convivici e fa finta di nulla. " si disse per tranquillizzarsi.
- Uhm... - guardò con improvviso interesse l'armadio.
- Forse ci troverei dell'altro... - pensò ad alta voce,
Si alzò dalla scrivania per andare ad infilarsi nella fessura che le aveva salvato la vita... bhe, almeno dalla sua macabra fantasia.
Con cautela camminó lungo il piccolo corridoio che la notte prima sembrò infinito: alla sua fine vi ci trovò una scaletta che portava alla soffitta. La salì e aprì una botola.
Si ritrovò in una stanzetta grande sì e no tre metri quadri, piena di polvere e ragnatele e con davvero poca luce che filtrava da una finestrella tonda grande quanto due mani messe vicino.
- ... jackpot. -.
Aveva in mente una cosa assurda: sarebbe stato il suo "bunker", la sua "safe room", insomma... un posto sicuro.
Clem si alzò le maniche e si mise a lavoro.
La camera segreta fu completata nel giro di qualche ora.
Aveva messo un bauletto che stava nel garage, una coperta ed un paio di piccoli cuscini che stavano nell'armadio. Sempre nel garage trovò anche un paio di lanterne elettriche per far luce.
All'esterno, per coprire il foro, mise una delle due scatole.
Il giorno dopo si fece dare un po' di soldi dal padre per andare a comprare qualsiasi cosa lei volesse per arredare meglio camera sua.
Un po' spaesata e con un pizzico di fortuna, arrivò al centro commerciale che era vicino casa sua. Anche se per tutto il tragitto si sentì osservata, ma diede la colpa alla sua eccessiva paranoia.
Da dietro gli alberi, però, una figura nascosta tra le foglie la osservava. Era il suo compito del resto.
Girando per il posto, Clem comprò molti fumetti, delle penne da muro per disegnare sulle pareti della stanza, uno stereo e degli altri oggetti come dei quadretti vintage una mazza da baseball.
E sanza dar nell'occhio, comprò alcuni utensili da carpentiere come un martello per sentirsi più sicura e avere la certezza di potersi difendere dalla creatura. Ecco fin dove  la spingeva la sua paranoia.
- Credo che basti per oggi. Poi ritornerò per altre cosette... -.

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