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Passarono solo tre settimane che il padre già le aveva preso il biglietto per gli Stati Uniti.
Era metà ottobre.
Clementine e sua madre arrivarono all'aeroporto di Fiumicino dopo tre ore di viaggio in auto.
Clem era ai check-in dove avrebbe dovuto salutare la mamma. Non la avrebbe rivista per molto, molto tempo...
- Clementine, mi mancherai tanto. Spero che tu possa stare meglio da tuo padre... ma se senti il bisogno di tornare a casa, chiamami e ti verrò a prendere subito! Promesso? - la prese per le guance.
- Promesso. Grazie, mamma. - le rivolse un sorriso, abbracciandola con amore.
- Di' ai nonni e agli zii che mi mancheranno... e anche tu mi mancherai, ma'.
Sta certa che starò bene. - Clem prese la sua valige e si sistemò lo zaino in spalla.
- Ti voglio bene, Clementine. Buon viaggio! - la salutò la mamma con le lacrime agli occhi, ma con un sorriso di incoraggiamento.
Clem le sorrise ancora una volta per poi mettersi in fila per il check - in ed infine dirigersi prima a posare il suo bagaglio ai nastri trasportatori per poi salire sull'aereo.
In realtà dovette attendere un paio d'ore prima di salire, ma sono cose che capitano.
Trovato il suo sedile, la ragazza parlò con la hostess che la doveva accompagnare per tutto il volo per poi mettersi più comoda.
Mise il cellulare in modalità off-line e prese un libro dallo zaino, svagandosi a leggere.
Mentre la gente si spintonava per raggiungere i sedili, una voce parlò dalla sala comandi.
- Si prega di allacciare le cinture di sicurezza, stiamo per decollare. - disse il megafono.
- Grande! Oh...ehm... scusami. Non volevo gridarti nell'orecchio. - si scusó imbarazzata Clem con il giovane uomo che si era seduto accanto a lei qualche minuto prima.
- Non ti preoccupare. - la rassicuró con un sorriso.
- Sono Gabriele, piacere di conoscerti. - il giovane le tese la mano in segno di saluto.
- Clementine, piacere mio. - gli strinse la mano.
"Sembra molto simpatico." pensò felice.
- Dove andrai quando arriverai negli Stati Uniti? - le domandò curioso.
- In Virginia, da mio padre. Tu? -
- Anch'io in Virginia.
Sono tornato in Italia per rivedere la mia famiglia. - diede un'occhiata fuori dal finestrino prima di riprendere la conversazione.
- Quanto mi mancherà questo posto. - commentò molto serenamente.
- Anche a me dispiace andarmene... - sospirò la ragazza.
- E allora perché te ne vai? Hai la fortuna di vivere in uno dei Paesi più belli del mondo! -
- Lo so, ma... bhe, diciamo che quando hai parecchi problemi, ti è difficile vedere il lato positivo. - si giustificò.
Gabriele incrociò le braccia, facendo di no con la testa.
- Tutti noi abbiamo i nostri problemi, mica possiamo scappare da essi?
Immagino però che tu abbia già provato a risolverli, non è vero? -.
Clem annuì.
- Vero. Però hai comunque ragione. - gli fece un sorrisetto.
L'altro le sorrise un po' imbarazzato. Girandosi i pollici, cercò di trovare un modo di continuare quella conversazione.
Gli si illuminarono gli occhi nel vedere la copertina del libro di Clementine.
- Sherlock Holmes? -
- L'unico e solo. - e con piacere presero a parlare.
Parlando parlando, passarono le prime quattro ore di viaggio. E il sonno prese entrambi.
Clementine sbadigliò e con lei anche Gabriele.
- Credo che sia più che opportuno dormire un po'. - commentò il ragazzo.
L'altra annuì assonnata.
- Oh sì... bhe, buonanotte? - chiese con un velo d'imbarazzo.
L'altro ridacchiò.
- Sì, buonanotte. -.
Si misero comodi per poi addormentarsi quasi subito come due ghiri.
La povera Clementine, però, iniziò subito un incubo che la immerse nel totale oblio.
- CHI SEI!? COSA VUOI DA ME?! - gridò alle tenebre. Era affannata e spaventata.
- Non ti ricordi di me, umana? - una voce profonda e metallica parlò.
- TU NON ESISTI, SEI SOLO FRUTTO DELLA MIA IMMAGINAZIONE! -
- Stupida, davvero credi che la tua mente ti ingannerebbe per così tanti anni? Secondo te, l'immaginazione è capace di far sentire male fisicamente una persona? -.
La voce pareva provenire ovunque e la testa della ragazza pesava. Si accasciò a terra, con il capo tra le mani. Le lacrime rigavano il suo viso, la pelle le bruciava dalla rabbia.
- TU NON ESISTI! NON ESISTI! - sbraitò fino allo sfinimento.
Era disperata. I suoi muscoli erano come paralizzati.
Un forte ringhio le traforó i timpani.
- ORA BASTA! -
- LASCIAMI IN PACE! - a quelle parole, un qualcosa di color nero si attorciglió attorno al collo della corvina. Le grida di paura le stracciarono la gola.
Un dolore lancinante la faceva gemere: dalla spalla sinistra scorreva il suo sangue e a fiotti.
Fu poi gettata via come un sacco dell'immondizia. La sua vista si offuscò.
Si svegliò. Era bagnata di sudore e tremava.
- Mi hai fatto preoccupare da morire! Stai bene? - Gabriele la teneva per le spalle, con lo sguardo preoccupato.
- S-sì... era solo un sogno.
Vado in bagno a lavarmi... perdonami se ti ho fatto preoccupare tanto. - balbettando ciò, si alzò dal suo sedile per andare in bagno.
- Vuoi che ti accompagni? - le chiese. Aveva perso colore in viso.
- N-no grazie, ce la faccio da sola. - ringraziò e si diresse verso il bagno. Vi ci entrò e si chiuse a chiave.
Sclerò in inglese, ansimando affannosamente.
- Quel dolore... era troppo reale. Troppo per un incubo! - si levó la felpa per controllarsi spalla sinistra.
Non c'era nulla.
La sua pelle chiara era rimasta immacolata.
- Eppure credevo che... f-fosse tutto vero... - si rimise la felpa verde.
Si guardò allo specchio, notando quanto fosse diventata pallida dallo spavento. E le occhiaie di certo non aiutavano.
Si lavò la faccia.
- Stupida paranoica, quella creatura non è vera! - si disse.
Con un po' d'acqua di sistemò i capelli lisci che si stavano arruffando.
"Perché vi arricciate, capelli?! Io vi voglio lisci! " pensò per sdrammatizzare.
- Ok, Clemmy... ora datti una calmata. Non è successo nulla. - si sorrise allo specchio.
- Va tutto bene. - si diede una pacca sulla spalla.
Uscì dal bagno per rimettersi al suo posto.
- Stai meglio ora? - le domandò Gabriele, che un attimo prima stava giocando col cellulare.
- Sì sì, grazie... e scusami ancora. - squittì la ragazza, sedendosi.
- Dai, non scusarti tanto. L'importante è che stai bene. - la rincuorò.
Clem gli sorrise.

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