Prologo

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-Ringraziamo tutt* per la meravigliosa copertina creata dalla generosissima e meravigliosissima @scrivevocose (su twitter: @  comeuniceberg), grazie di cuore giuggiolina 🖤

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Prologo

Probabilmente avrete sentito il detto che quando un assassino uccide, solitamente, non batte ciglio. Mh.

Beh, potrebbe essere vero. Da quando aveva iniziato quella professione, infatti, lui non aveva mai battuto le palpebre mentre svolgeva un incarico. Forse perché questo richiedeva un'intensa concentrazione, soprattutto quando il bersaglio, un cattivo bersaglio, poteva ancora muoversi.

Non uccidevano chiunque. Agli assassini con capi come il loro veniva ordinato di uccidere solo i cattivi. Ma cos'è il nero? Cos'è il bianco? Cos'è il bene e cos'è il male?

A volte voleva chiedere a sua madre - quella adottiva che lo aveva cresciuto, una persona che rispettava profondamente nonché il suo capo – qualcosa come: "Questa è la foresta di Sherwood? O ci crediamo di essere Robin Hood, di fare l'eroe, di fare giustizia da soli, di liberare il mondo dalle persone etichettate come malvagie?"

Pensava spesso di chiederglielo, ma non l'aveva mai espresso nemmeno ad alta voce.

Mentre ragionava, ogni muscolo del suo braccio destro lavorava a pieno regime, sollevandosi senza problemi come se l'avesse fatto centinaia, o addirittura, mille volte. I suoi occhi, che non battevano quasi mai le palpebre, si restrinsero a metà strada per fissare dritto davanti a sé.

Non si esita mai a premere il grilletto. Bisognava chiudere il cuore e mettere tutto a tacere, anche se le mani dovessero sudare, o se il sudore dovesse imperlare le tempie e le richieste di pietà dovessero trafiggervi le orecchie, riverberandosi nel profondo del vostro corpo. Non bisogna mai esitare o battere ciglio nemmeno per un istante.

Bisogna guardare tutto a rallentatore, puntare con attenzione la canna della Glock 17, che stringeva, dotata di silenziatore, verso il bersaglio. Un solo colpo... il più preciso possibile. Era un gesto di misericordia per i morti, nonché una conclusione rapida del lavoro.

"È fatta" abbassò la pistola, sbattendo le palpebre una volta per guardare il corpo esanime. Il sangue denso cominciò a gocciolare e il familiare odore metallico gli riempì il naso, ma non sarebbe mai riuscito ad abituarsi ad esso.

L'essere un tempo vivente giaceva immobile, con i muscoli che si contraevano ancora un po', gli occhi spalancati che si rifiutavano di chiudersi. Sospirò, inclinando la testa per guardare il cielo notturno, dove le stelle scintillavano meravigliosamente, anche se non era dell'umore giusto per ammirarle.

"Bison, che ti succede? Ci hai messo una vita a prendere la mira prima di sparare".

Bison lanciò un'occhiata a colui che gliel'aveva chiesto, il suo partner. Lavoravano in squadra da molti anni.

Prima di parlare, scosse leggermente la testa in risposta. Mentre apriva bocca per replicare, mise via la pistola che aveva in mano.

"Niente. Sono solo stanco di questa vita di merda. Quando potremo smettere di essere assassini, Fadel? Non voglio più farlo".

Dopo aver riposto la pistola, tirò fuori una sigaretta e l'accese, usandola per rilassare il corpo dopo la scarica di adrenalina. Il suo compagno, Fadel, che la madre gli aveva detto di considerare come un fratello maggiore, non rispose. Si concentrava solo sulla distruzione delle prove... Del resto, quello era il suo compito.

"Sei al tuo limite?"

"Non lo so. È solo che non voglio più farlo".

"Mamma non ti lascerà mollare così facilmente".

"Lo so. Vuoi una sigaretta?".

"Certo, ma prima fammi finire qui".

Bison fece un'altra boccata, guardando le spalle del fratello maggiore mentre si occupava della sua parte di lavoro. Non c'era bisogno di stare addosso a Fadel: sapeva che lui avrebbe fatto tutto bene, come sempre. E poi, fare i pignoli non era nel suo stile.

"La prossima volta, lascia che mi occupi io dell'uccisione, e tu pulisci. E se sei esausto, magari vai da uno psicologo". Eppure la personalità "pignola" sembrava appartenere proprio a Fadel. Bello, ma con la faccia sempre torva, Fadel finì con il corpo, avvolgendolo meticolosamente prima di issarlo sul retro di una vecchia auto. Calato nei suoi pantaloni neri, di un tessuto pregiato, si avvicinò a grandi passi e tese la mano per una sigaretta.

"Quindi cosa dovrei dire a un terapeuta: 'Sono stanco di uccidere la gente, ne ho già uccisi tanti'? Qualcosa del genere?".

"Potresti piuttosto provare a dire qualcosa di più intelligente..."

"Sì, come no. Se non posso aprirmi con un terapeuta, non ci vado. È una perdita di tempo".

Fadel lanciò un'occhiata acuta al fratello minore. Non era sicuro che lo fosse, un fratello, perché avevano padri e madri diversi, e anche le loro personalità non avrebbero potuto essere più opposte. A Bison piaceva divagare, a volte anche chiacchierare in modo fastidioso prima di affrontare un bersaglio. Fadel, invece, tendeva a risparmiarsi ogni chiacchiera. Per lui parlare era uno spreco di fiato, un'inutile perdita di energia.

"Ce ne andiamo insieme?".

"No, la mia parte è fatta. Il resto è tuo".

"Allora, dove vai?".

"Ovunque il mio cuore possa riposare".

"Mh"

"Anche tu dovresti prenderti una pausa, Fadel. La tua vita non deve essere per forza così".

Fadel non si tirò indietro di fronte alle critiche. Si alzò in piedi e fece un altro tiro dalla sigaretta. Bison la finì, per poi lasciarla cadere a terra, spegnendola con la scarpa.

"Me ne vado, fratellone".

"Va bene. Ci vediamo a casa".

Prendendolo come un permesso, Bison si girò e si allontanò portando con sé i suoi sogni: sognava di essere un giorno libero, di non dover uccidere, di non doversi nascondere. Ah, quasi dimenticava: voleva qualcuno da amare e un gatto.

Questo era il suo sogno.

The Heart Killers (Traduzione Italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora