Secondo giorno

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Il giorno dopo il prof di storia fece un test a sorpresa sull'Indipendenza americana e ringraziai il cielo per aver aperto il libro solo qualche ora prima.

Non potevo permettere assolutamente che la mia media scendesse perché un professore con evidenti problemi con la moglie aveva deciso di metterci in difficoltà.

C'era un tacito accordo tra me e i miei genitori: se io avessi continuato a concentrarmi sullo studio loro non mi avrebbero privato di nulla.

Non è che mi sforzassi molto d'altra parte; avevo avuto la fortuna di ricevere una memoria di ferro e non c'era studente che mi additasse come la viziata verginella secchiona.

La storia andava avanti da due anni e non facevo più caso a quelli che, non avendo nulla di più fruttuoso da fare, sussurravano i miei soprannomi con un tono non così basso, in modo che riuscissi ad ascoltarli.

Avevo imparato a farmi scivolare addosso l'opinione altrui e vivevo molto meglio nonostante alcune volte rimanevo male per determinati insulti. Speravo che tutto potesse cambiare -o meglio mi illudevo che potesse accadere.

Uscii dall'aula non appena finii il mio compito e mi sedetti sulle scale che portavano al secondo piano del grande edificio scolastico in attesa che qualcuno consegnasse in anticipo e mi facesse compagnia.

Non molto tempo dopo Allison si sedette al mio fianco con un'espressione funerea  e appoggiò la testa sulla mia spalla.

Evitai di chiederle com'era andata perché era evidente.
Ciò nonostante, mi rese partecipe della sua disfatta.

«E' andata di merda», confermò le mie supposizioni e sospirò.

Impacciata come non mai, le misi un braccio intorno alle spalle e le diedi dei colpetti in segno di conforto. Non me la cavavo bene in situazioni del genere.

Avrei potuto recitare a memoria i più importanti teoremi matematici, avrei potuto cantare la tavola periodica con la stessa facilità con cui un bambino si soffiava il naso, ma consolare non era di certo una delle mie qualità.

«Mio padre mi vieterà di partecipare agli allenamenti pomeridiani, di partecipare alle feste, mi toglierà il telefono, non potrò uscire», la sua voce si alzava di un'ottava man mano che snocciolava ciò che sarebbe successo, «resterò segregata in casa per mesi!», urlò dando sfogo alla sua vena melodrammatica e si girarono nella nostra direzione alcuni ragazzi che ritornavano nelle loro classi.

«Non essere tragica, sono sicura che non è andata così male come tu credi», tentai in tono insicuro, per fare la parte dell'amica che si preoccupava. Non mi interessava a essere sinceri e pensavo anche che non sarebbe successo nulla di quello che aveva predetto. Se la sarebbe cavata con le lacrime da coccodrillo e la promessa di migliorare.

«Ho scritto sul foglio il mio nome e il mio cognome. Sono andata in crisi per mettere la data e l'ho persino sbagliata»

Mi lanciò un'occhiataccia e presi la saggia decisione di restare in silenzio; avrei peggiorato ulteriormente la mia situazione.

Mi fermai al mio armadietto per prendere i libri della lezione successiva e venni trattenuta da un mio compagno di letteratura inglese.
«Halsey ho bisogno del tuo aiuto», iniziò senza nemmeno salutare, com'era suo solito.

«Dimmi Tom», risposi senza alzare lo sguardo dal libro rosso. Sapevo già di cosa si trattava per mia sfortuna.

«Mi devi dare ripetizioni di algebra»
Nessuna domanda, nessuna forma di educazione, proprio come era successo con Allison e la festa del venerdì precedente.
Solo un ordine impartito a bassa voce per non permettere agli altri di origliare.

Amami nonostante tutto || l.h. [ In pausa ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora