Volontaria a tutti gli effetti

1.4K 94 6
                                    

Ce l'avevo fatta. Le mie due settimane di prova erano terminate e sarei diventata una volontaria a tutti gli effetti.

Nonostante avessi passato un weekend orribile sia a causa della festa sia a causa delle continue domande di mia madre riguardo alla mia relazione con Calum, mi svegliai con un sorriso sulle labbra in vista del pomeriggio che mi aspettava.

Mi lavai, vestii e feci colazione con la famiglia, come nelle pubblicità in televisione dei biscotti, poi andai alla fermata dell'autobus con largo anticipo. Presi dallo zaino l'iPod e feci partire la riproduzione casuale, assaporando ogni nota che il cantante mi offriva ad occhi chiusi.

Ero davvero stanca, la notte precedente avevo stabilito un nuovo record: avevo dormito per tre ore e mezzo e avevo avuto un incubo abbastanza angosciante.
A lungo andare sentivo il peso del sonno e mi ritenevo fortunata se non crollavo durante una lezione di chimica o storia. I professori non sarebbero stati comprensivi neanche con me che avevo il massimo dei voti.

Al mio fianco sentii uno spostamento d'aria e aprii un occhio per vedere di chi si trattava. Era Calum, come potevo immaginare, e ritornai allo stato catatonico senza dire una parola, tanto di prima mattina non ero socievole e ne era consapevole.

In un certo senso sapevo di dover tenere le distanze, non mi fidavo molto di lui anche se mi aveva dato modo di farlo il sabato precedente. In qualche angolo del mio cervello c'era la convinzione che se mi fossi mostrata fredda o comunque scostante non avrei sofferto nel caso in cui lui se ne fosse andato e non gli avrei dato la possibilità di rovinarmi.

Credevo anche che il suo comportamento fosse una messa in scena. Era possibile che mi trattasse così, quando prima approfittava di ogni occasione per mandarmi frecciatine? Ero persino arrivata a creare congetture sul perché fosse avvenuto un tale cambiamento in positivo, ma forse era meglio se mi rilassavo.

«Stai dormendo?», domandò punzecchiandomi il braccio con un dito.
«No», borbottai ad occhi chiusi e mi spostai in modo che non potesse toccarmi.

Odiavo quando qualcuno mi rivolgeva la parola mentre ascoltavo la musica. Era uno dei pochi momenti in cui potevo rinchiudermi in me stessa e non pensare assolutamente a nulla, una sorta di riposo per compensare la veglia notturna.

«Andiamo a fare un giro? E' ancora presto per la scuola»
«Il pullman arriverà tra poco», tolsi gli auricolari dalle orecchie e li misi nella tasca della giacca.
«Io ho la macchina», fece oscillare le chiavi davanti al mio volto e sorrise.
«Stai giocando troppo questa carta. Inizio a pensare che tu non abbia niente oltre a questa»

Solo dopo che le parole lasciarono la mia bocca capii il doppio senso che avevo inavvertitamente creato.
Il ragazzo ammiccò e con ogni probabilità il sangue affluì sulle mie guance.

«Ho molto di più di una macchina, bellezza, ma non ti mostrerò nulla fino a quando non sarai tu a chiedermelo», disse convinto.
«Dimmi che non hai fatto allusione a quello che penso», seppellii il volto tra le mani e mi chiesi perché ero amica di un simile elemento.
«Andiamo -mi tirò su e mi appoggiò un braccio sulle spalle- conosco un posto in cui fanno i migliori pancakes del mondo»

Fui trascinata alla sua macchina e mise in moto prima che potessi dirgli che avevo già fatto colazione.

-

Il locale in cui entrammo era veramente carino a accogliente. Sembrava una tavola calda modernizzata e le pareti color celeste chiaro erano molto rilassanti.
Non ero mai stata al Mosey's, ma di sicuro ci sarei ritornata con mio fratello. A lui piacevano un sacco ambienti dall'aspetto familiare.

Amami nonostante tutto || l.h. [ In pausa ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora