«Quando torni a casa? Mi manchi»

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Passare il giorno prima della vigilia di Natale in auto in viaggio verso il North Carolina non era il mio prototipo di giornata modello.

Ero stata svegliata da una marcia sparata a tutto volume nello stereo in salotto e ci mancava poco che cadessi dal letto per lo spavento; avevo fatto una doccia fredda perché mio padre aveva spento la caldaia ed era finito il latte proprio mentre lo versavo sui miei cereali preferiti.

Come se non fosse abbastanza, ero stipata in uno spazio ristrettissimo in auto, schiacciata contro la spalla di mio fratello perché i miei genitori avevano deciso di svaligiare l'intero supermercato e portarlo a casa dei nonni.

Era una sorta di tradizione cominciata tre anni prima, quando ci eravamo trasferiti in Illinois e avevamo deciso di passare le feste riuniti ai nostri familiari.
L'unico problema era che a momenti avrei perso la sensibilità al fianco punzecchiato dalla busta frigo, mio fratello avrebbe perso l'uso del suo braccio sinistro e il disco di canzoni natalizie messo a ripetizione da non so quante ore non aiutava affatto.

«Mi dispiace Mikey», feci una smorfia, cercando di sistemarmi meglio in mezzo a tutta quella spesa e Michael mi abbracciò in modo strano per farmi stare ferma.
«Non fa niente Hals, tra poco ci fermeremo e troveremo un modo per stare più comodi», mi lasciò un bacio sulla testa e ticchettò le mani sulla portiera, fingendo di star ascoltando la canzone.

Avevo un angelo come fratello, poco ma sicuro. Non l'avevo mai sentito lamentarsi in seguito ad una mia marachella contro di lui, né si era mai rifiutato di assecondare ogni mio desiderio, anche il più stupido e infantile. Mi accoccolai contro il suo petto, per quanto mi permettesse lo spazio, e ringraziai il cielo per averlo al mio fianco nella buona e nella cattiva sorte.

Alla fine trovammo una posizione comoda per entrambi e ci divertimmo nell'ultimo tratto di viaggio, rinvangando vecchi ricordi di quando eravamo piccoli e mangiando schifezze comprate nella stazione di servizio per pochi spiccioli.
Mia nonna si sarebbe messa le mani nei capelli, odiava che ci riempissimo fino a scoppiare e che non apprezzassimo appieno la cena che preparava apposta per noi.

«Ti ricordi quella volta in cui Halsey andò in braccio a tuo zio Tobias e gli tirò il parrucchino, credendo che fosse un gatto?», rise mia madre mentre raccontava ciò di cui non ero a conoscenza e mio padre annuì più volte, con un sorriso divertito a illuminargli le labbra.
«Oh sì che me lo ricordo –annuì più volte- ho dovuto pagargli una seduta dal barbiere per riparare al danno»
«Io sono qui, eh», borbottai incrociando le braccia al petto e causando altre risate.

Chissà perché, ma quando si parlava di figuracce ero sempre io il soggetto preferito dei miei genitori e dei miei parenti.
Mio fratello rise e mi scompigliò i capelli, gesto che faceva sempre per tranquillizzarmi o per dirmi di non prendermela. E inevitabilmente ottenne l'effetto sperato, mi piaceva sentire felici le persone che amavo anche a mio discapito.

La giornata era iniziata per il verso sbagliato, sì, ma non potevo mica sapere che l'arrivo nel vialetto di casa dei miei nonni sarebbe stato anche peggio.
Uscii dall'auto proprio nel momento in cui alcune gocce d'acqua scesero dal cielo sgombro da nuvole.

Fenomeno paranormale?
No, mio cugino Tyler di cinque anni era andato sul balcone della camera padronale con la sua pistola d'acqua e aveva pensato bene di eleggermi suo bersaglio.

Aiutai i miei a portare in casa la spesa e per uno scherzo del destino la busta si ruppe e il suo contenuto si riversò sul pavimento.

C'era forse qualche baldo giovane disposto ad aiutarmi? No, l'unico in circolazione era Steel, il cane anziano dei miei nonni, che sbuffò dal naso vedendo ciò che avevo combinato e si girò dall'altro lato annoiato. Aveva un bel caratterino quella palla di pelo.

Amami nonostante tutto || l.h. [ In pausa ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora