Capitolo 1: Lupo

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LYDIA

«Lydia, abbassa la voce.»

Tolsi le cuffiette dell'iPod e mi voltai verso mia madre.

«Stavi cantando» rispose lei, senza distogliere lo sguardo dal libro che stava leggendo.

Come facesse a non avere la nausea mentre leggeva in macchina, per me, resterà sempre un mistero. Eppure, era già da due ore che si gustava le pagine del suo giallo senza batter ciglio.

Avrei dato qualsiasi cosa per poter avere un passatempo del genere in quegli interminabili viaggi che mio padre adorava fare, tagliando per i paesini e le strade più sperdute pur di non passare per la "trafficata e ansiogena autostrada". Molto meglio guardare il panorama e ammirare le piccole baite di montagna.

Ma a me non importava un fico secco dell'alberello innevato, vagamente piegato su se stesso sotto il peso della neve; volevo solo tornare a casa e buttarmi sul letto per chiamare Ally su Skype o, almeno, per essere in grado di leggere un libro senza avere conati di vomito.

Quelle stradine erano così strette e piene di curve che a stento riuscivo a leggere i messaggi sul cellulare, tanto che, dopo pochi minuti, dovetti rinunciarci. 

Fortunatamente, il fido iPod era sempre lì, pronto all'uso. Meglio non pensare a nulla e lasciare che le parole di altri mi penetrassero in testa, liberando la mente da ogni pensiero; era il miglior modo per scappare dalla realtà.

Era appena cominciato il ritornello di Comes and goes, quando una violenta sterzata, accompagnata da un disperato tentativo di frenata, mi catapultò in avanti.

Rigettando indietro la valigia che mi era caduta in testa, guardai fuori dal finestrino: mio padre aveva preso una lastra di ghiaccio ed aveva sbandato, andando fuoristrada.

Ecco cosa succede a prendere stradine dimenticate dal mondo e soprattutto dagli spazzaneve, pensai, roteando gli occhi.

Dopo sei tentativi di tirare fuori la macchina, seguiti da altrettanti fallimenti, e venti minuti di attesa, nella speranza sempre più vana di incontrare qualcuno, fu deciso un nuovo piano d'attacco: mio padre sarebbe tornato indietro mentre io sarei andata avanti in cerca di una baita e, nel frattempo, mia madre sarebbe rimasta a guardia dei bagagli.

Come se ci fosse pericolo di scippo in questa metropoli tentacolare, pensai sarcastica, mentre mi allontanavo, Sarebbe almeno il segno dell'esistenza di qualche essere vivente in zona.

Era già pomeriggio inoltrato ed il sole stava calando dietro i monti, allungando tutte le ombre in maniera irreale.

Neve, neve, neve. Non c'era altro che neve tutto attorno. 

Camminando, iniziai, presa dalla noia, a guardare la mia ombra proiettata sui bianchi bordi della strada: le mille schegge di ghiaccio in cui la luce sembrava rifrangersi, scomparivano immediatamente al passaggio dell'ombra, per poi tornare a risplendere subito dopo. Ero così presa da quel gioco di luci e ombre che quasi non mi accorsi del luccichio che la mia ombra non riuscì a spegnere. 

Quasi. 

Perché, come in una composizione musicale una singola nota sbagliata ti prende allo stomaco lasciandoti con una strana sensazione di scomodo, così quel breve bagliore, confuso nel turbinio di note solari,  che non si spense al passaggio dell'ombra, ruppe l'incantesimo che si era creato, riportandomi alla realtà.

Feci un passo indietro e guardai con più attenzione, ma niente, nessun bagliore.

Concentrati! Stai cercando una baita, e di sicuro non la troverai guardandoti i piedi.

Continuai ad avanzare, sollevando lo sguardo oltre gli alberi con il fermo obbiettivo di trovare una baita-della-salvezza. 

Eppure, tra una curva e l'altra, continuavo a gettare lo sguardo indietro, alla ricerca di qualcosa che neanche io sapevo spiegare, ma che più camminavo e più diveniva  presente e reale.

Stavo camminando ormai da molto tempo e il sole era quasi scomparso dietro i profili scuri delle montagne. 

Meglio tornare indietro.

Decisi di arrivare fino alla svolta successiva, in modo da vedere se, al di là di essa, si nascondesse una casa.

Ero quasi giunta alla curva, quando sentii un rumore. Mi voltai di scatto, ma ciò che vidi fu solo la scia lasciata dalle mie impronte sulla neve. Rimasi ferma in ascolto, eppure tutto ciò che riuscii a sentire fu solo il mio cuore batter forte come un martello sull'incudine. 

Non lo avevo notato fino ad allora, ma attorno a me era calato un silenzio quasi irreale. Sembrava che nulla si muovesse nella foresta. Soltanto il vento pareva essere immune a quella magia, continuando a sferzare le fronde degli alberi e scompigliare i miei capelli ramati.

Una persona sana di mente sarebbe tornata subito indietro, ma non io. Io sono cocciuta. Mi ero ripromessa di arrivare fin'oltre la curva e così avrei fatto.

Mi voltai nuovamente per riprendere a camminare e allora lo vidi: un grosso lupo stava uscendo da uno dei cespugli a bordo strada. Aveva il pelo ispido e nero, il muso distorto in un ringhio e due occhi d'ambra che riflettevano gli ultimi bagliori del giorno.

Calma Lydia, stai calma. I lupi non attaccano gli umani, magari c'è una lepre dietro di te, dovrebbe essere davvero davvero affamato per cercare di attaccarti.

Feci un passo indietro.

Però, in effetti, sembra davvero davvero affamato.

Schivai per un pelo la bestia, che nel frattempo aveva fatto un balzo in avanti.

Che fare?

Provare a scappare era inutile, mi avrebbe raggiunta in un batter d'occhi.

Attaccare? Ok, non scherziamo, in tasca avevo soltanto un pacchetto di gomme.

Urlare era l'unica cosa che avrei potuto fare nella speranza che qualcuno mi sentisse. Ma chi?

Nel frattempo il lupo aveva spostato il peso all'indietro, caricando sulle zampe posteriori la spinta per il seguente balzo. 

Era la fine. Chiusi gli occhi, pronta all'impatto che non tardò ad arrivare.

Sentii tutto il peso del corpo che mi buttò a terra violentemente, ma non sentii dolore. 

Una volta avevo visto un documentario su di un uomo che, pur essendo stato attaccato da dei leoni, sosteneva di non aver sentito dolore nel momento in cui la morte avrebbe dovuto essergli più vicina. Ma così era troppo! L'unica fitta che sentivo era all'anca, nel punto in cui avevo sbattuto contro il suolo. 

Mi costrinsi ad aprire gli occhi e ciò che vidi non furono i denti famelici dell'animale, ma due occhi verdi che mi fissavano, nascosti in parte da ciocche di capelli castani.

Ciao a tutti miei cari lettori! Questa è la prima storia che scrivo, vi prego quindi di essere clementi! Mi farebbe molto piacere se commentaste i capitoli scrivendo cosa ne pensate della storia ed eventualmente correggendo i miei errori.
Grazie a tutti!


Ddaear Arall || L 'Altra TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora