Capitolo 3: Octavia

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OCTAVIA

Era stata una giornata come le altre: mi ero alzata presto, mi ero fatta una doccia fredda ed ero andata a correre; altra doccia e poi studio. 

Volevo finire tutto entro sera in modo da gustarmi un paio di capitoli, possibilmente anche più, di Kafka sulla spiaggia di Murakami. Ma i miei piani erano andati in fumo quando i miei mi "chiesero" di andare a prendere mio fratello Zack a lezione di karate. 

Non poteva essere come tutti i bambini di dieci anni che durante le vacanze natalizie stanno tutto il giorno davanti la Playstation a uccidere qualche zombie? No, certo che no! Lui preferiva seguire il corso extra di karate alla palestra centrale, due paesi e trenta minuti più in là.

Era pure vero che nemmeno io ero la classica diciassettenne: non amavo truccarmi, mi permettevo solo ogni tanto un po' di mascara, e non "socializzavo con le mie coetanee", come diceva mio padre. Anzi, di solito le evitavo, come loro evitavano me d'altronde e, se dovevo parlare con qualcuno, preferivo di gran lunga scambiare due chiacchiere coi ragazzi.

La lezione finì tardi, quel macaco di mio fratello si scordò la sacca in palestra e dovemmo tornare indietro a riprenderla e, dulcis in fundo, mi dovetti fermare a fare benzina.

Parcheggiai la macchina che avevo i nervi a fior di pelle. Decisi di fare un giro nella serra di mia madre prima di entrare a casa, sperando di rilassarmi un po'. 

Appena entrata miliardi di aromi mi stuzzicarono il naso: rosmarino, prezzemolo, menta, salvia, alloro, angelica, camomilla, erba cipollina, lavanda, coriandolo e chi più ne ha più ne metta. Tutto era rigoglioso e verde, anche in pieno inverno. Mia madre aveva una passione al limite dell'ossessione per la botanica e quella serra era una specie di terza figlia per lei. 

Chiusi gli occhi e mi feci circondare da quei profumi. Facevo sempre così quando ero nervosa, cercavo di estraniarmi da me stessa riempendomi di ciò che mi circondava.
                                                         
Bastarono giusto dieci minuti lì dentro per farmi ritrovare la calma che in altre condizioni avrei riacquistato in almeno un'ora. Soddisfatta, mi rialza e raggiungendo in poche falcate la porta di casa aprii la porta di casa, salii al piano di sopra ed entrai in camera mia accendendo la luce, pronta a buttarmi sul letto. Solo in un secondo momento mi accorsi che era già occupato. 

«Ma che...?»

Una mano mi tappò la bocca e mi trascinò indietro nel corridoio, spegnendo intanto la luce e richiudendo la porta dietro di me. 

«Ma cosa fai?» chiesi a mia madre, voltandomi.

«Sta dormendo, lasciala riposare» disse lei.

«Ma chi? Chi è? E perché sta in camera mia?»

«Octavia Myra Anderson non usare questo tono con me! E vedi di abbassare la voce» mi sgridò, mettendo le mani sui fianchi «Ad ogni modo, una famiglia stava tornando a casa quando è uscita fuori strada con la macchina, sono andati a cercare aiuto e dopo un po' hanno ritrovato la figlia svenuta sulla neve con una brutta ferita alla tempia. Dicono che c'era un albero caduto accanto a lei, forse ha preso un ramo in testa che l'ha fatta svenire. Direi che in fin dei conti è stata fortunata, poteva finire schiacciata.»

"Fortunata"... quante possibilità ci sono che un albero ti crolli addosso colpendoti in testa? Ma mi limitai ad annuire e sorridere a mia madre senza obiettare. 

Mentre scendevamo in salotto continuava a parlare: «Comunque, per fortuna, poco dopo hanno incontrato tuo padre che era andato a prendere la legna per il camino e che, ovviamente, gli ha offerto un aiuto. Hanno portato Lydia, si chiama così la ragazza, a casa ed io l'ho fatta mettere in camera tua, mi pareva brutto farla stare sul divano. Intanto loro sono andati a cercare di far uscire la macchina dal fosso, ma si sono scordati il cavo per trainare la macchina quindi sto uscendo a portarglielo. Tuo padre ha un cuore d'oro, ma sai com'è fatto, ha sempre la testa tra le nuvole, come quando dice di essersi perso gli occhiali e poi li ha in testa, o come quando...»

Oddio eccola che inizia a parlare del nulla, se non la fermo finirà per dirmi  quanto andassero di moda i pantaloni a zampa d'elefante ed i tacchi a punta quadrata ai suoi tempi, pensai. 

Per fortuna ci pensò Zack ad interromperla «Posso venire anche io con te?»

«Sarebbe meglio di no...» iniziò mia madre.

«Ma dai, ti prego, non succede mai nulla di bello da queste parti! Portami con te!»

«Non è "qualcosa di bello" il fatto che siano usciti fuori strada... ah e va bene» concluse vedendo come la guardava, poi voltandosi verso di me aggiunse «Porta alla ragazza una coperta che sta iniziando a fare freschetto e, se riesci, vedi di accendere anche il caminetto, ho comprato i marshmallows» mi strizzò l'occhio, facendomi sorridere. Ok qualche volta era una scocciatura, ma conosceva i miei punti deboli.

Stavo tornando in camera per portare la coperta alla ragazza quando la vidi in piedi in cima alle scale. 

 «Ehi, ehm, come... come ti senti?» le chiesi, cercando di essere il più cortese possibile.

Ho già accennato al fatto di non riuscire ad essere molto socievole con le altre ragazze?

«Ciao, bene, credo...»

Sembrava piuttosto spaesata. 

«Stai tranquilla, sei solo svenuta. I tuoi genitori sono qui vicino e stanno cercando di liberare la macchina dalla neve.»

Sembrava non mi stesse ascoltando, continuava a guardarsi intorno con quei grandi occhi neri. No, non erano neri, erano piuttosto di un marrone scuro, come cioccolata fondente. Sembrava un cerbiatto spaventato, e quella spruzzata di lentiggini che aveva sul naso la rendeva ancora più piccola di quanto probabilmente non fosse. 

Continuò a spostare lo sguardo su e giù, fino a postarlo su di me «E il ragazzo?» mi chiese.

«Ragazzo?» ripetei, non capendo.

«Sì, non quello con gli occhi verdi, no, quello vestito tutto di nero col tatuaggio» continuò. 

Non capivo: o mi stava prendendo in giro, o aveva preso una gran bella botta.

Ddaear Arall || L 'Altra TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora