Capitolo 28 -HELYA'S POV pt.4-

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Sento l'aria mancarmi. Letteralmente, non riesco a respirare. Sento come due mani che mi afferrano per il collo stringendo talmente forte da sentirmi quasi mancare; la sensazione di panico mi divora, cerco invano di respirare ma più mi divincolo più la sensazione aumenta. Mi sento dentro una bara, oppresso da una forza gigantesca che mi schiaccia, che preme sul mio petto, fino a sentire le mie costole spezzarsi una ad una.

Apro gli occhi.

Non mi ero nemmeno reso conto di averli tenuti chiusi tutto questo tempo: la prima cosa che vedo, è la luce. Una forte luce, che quasi mi acceca, e non mi permette di mettere bene a fuoco tutto ciò che mi circonda.
Un soffitto: è la prima cosa che riesco a riconoscere.
Ho il fiatone; inalo furiosamente quanta più aria possibile, cercando con tutto me stesso di dissipare quella sensazione orribile di apnea. Sono sudato, mi sento disgustosamente appiccicoso ovunque, e inoltre non riesco a smettere di ansimare, così come sento il mio petto pulsare velocemente.
Svegliarsi non è mai stato così faticoso;
cerco di muovere la testa per guardarmi intorno, e a ogni microscopico movimento, sento le mie ossa scricchiolare, come se da un momento all'altro potessero sbriciolarsi.
Ma alla fine, riesco a mettere a fuoco il viso di qualcuno, accanto al mio letto: è una ragazza che sta leggendo un libro. I miei occhi si fissano su di lei, cercando di analizzare i suoi lineamenti, scavando nei miei ricordi alla ricerca di un volto che corrisponda al suo. Capelli rossi, morbidi e ondulati, grandi occhi azzurri seminascosti da degli occhiali dalla montatura nera, un piccolo naso all'insù, la bocca dalle labbra sottili e rosee...
Ma non appena si accorge che la sto guardando, ha una reazione inaspettata: sussulta, come se avesse appena visto un fantasma, e indietregga di scatto, velocemente. Il sangue affluisce sulle sue guance colorandole di rosso, e la sua espressione è un misto tra puro imbarazzo e vergogna. Sembra la faccia di qualcuno colto di sorpresa nel fare qualcosa di losco o poco dignitoso:
"N-no, no no, Helya, n-non è come sembra, io... Passavo di qua solo per... c-cioè, non... io non stavo affatto... me ne vado, non preoccuparti..." Balbetta, indietreggiando e arrossendo sempre di più.
"Chi sei tu?" Sono costretto a domandare, alla fine. Non riesco proprio a riconoscerla.
Se prima il suo volto suscitava solo imbarazzo, quella frase peggiora le cose. Lascia cadere per terra il libro che teneva in mano, i suoi pugni si stringono, tremolanti, e il suo viso: gli occhi sembrano inumidirsi improvvisamente, e le sue labbra limitarsi a diventare una sottile linea tesa. Abbassa lo sguardo, per nascondere le lacrime:
"Helya... non ti ...ricordi di me?" Mormora ferita, a voce talmente bassa da essere appena udibile.
"Non credo di conoscerti..." Rispondo, mortificato.
Lei tira su col naso:
"Già, infatti... Non ci conosciamo. Non ci siamo mai rivolti la parola fino ad ora, però io ti ho sempre visto in giro... Ti chiedo scusa. Vado...Vado a chiamare Dean." Come un lampo, si precipita fuori dalla stanza, con la testa ancora bassa.

Dean.

Quel nome rimbomba dentro la mia testa. Una sensazione piacevole, è quello che sento dentro al mio cuore pensando a quel nome. Ma viene subito seguita da un enorme senso di colpa che sembra divorare tutto ciò che di bello mi lascia dentro il dolce suono di quel nome. È così strano.
So di avere sognato molto, mentre dormivo, ho come questa sensazione. Ma non riesco a ricordare cosa. A dire la verità, non so nemmeno perché mi trovo su un letto di ospedale. Non ricordo nemmeno il motivo per cui non ricordo...
"Buongiorno, bell'addormentato!" Esclama la voce rauca di una donna un po' in avanti con gli anni.
"Sei proprio un dormiglione, lo sai?" Continua, in tono affettuoso. Poi, all'improvviso, la sua espressione si fa cupa, seria. Mi mette quasi un certo timore:
"Ci sei già passato una volta. Per quante altre volte ancora dovrai rivivere questo incubo?"

Che significa? Ci sono già passato una volta? Non capisco a cosa diamine di riferisca. Mi sento come circondato da matti. Stanno tutti dando i numeri o cosa?
Cerco di trovare un possibile significato a quella frase; ma non ho tempo di pensarci, perché all'improvviso, la porta si spalanca, ed entra nella stanza un ragazzo, di corsa.
No, non è possibile, io l'ho già visto. Il suo viso non mi è nuovo. Ma chi diavolo è?
"Helya!" Si precipita verso di me, afferrando la mia mano. Glielo lascio fare: sento per la prima volta di potermi fidare di questa persona. Il suo viso mi incanta. È così bello, ed emana una luce talmente forte da abbagliarmi. Chi sei? Perché il mio cuore sta battendo più forte?
Io ho già visto questo ragazzo. E c'era una sensazione simile a quella che sto provando adesso, a cui associavo un nome, probabilmente nel mio sogno.
"Michael?" Spero di azzeccare.
Lui scuote la testa, stringendomi più forte la mano.
"Avanti, non puoi non ricordarti di me... Guardami bene! Cerca di ricordare." Mi guarda negli occhi. Il mio cuore non fa che accelerare, accelerare, e accelerare, sotto quello sguardo. Faccio come mi dice: mi concentro meglio, al massimo, chiudo per un secondo gli occhi, cercando dentro ai ricordi, dentro al sogno. Poi, un nome sbuca fuori come il germoglio di un fiore: inaspettatamente, e dolcemente.
"Dean?" Sussurro, ogni secondo più convinto di non stare sbagliando. A confermarmelo sono gli angoli della sua bocca che curvano verso l'alto, mostrando dei denti perfetti. Potrei viverci di quel sorriso. Non ne ho mai visto uno più bello, sincero e luminoso.
Dean si avvicina al mio viso, e mi bacia. Anche queste labbra, sono così familiari... Ho già sentito questo calore, più di una volta. Eppure, questa sensazione mi coglie impreparato come se fosse la prima volta. È come se le sue labbra mi stessero raccontando una storia impossibile da esprimere a parole: e io glielo lascio fare. Lascio che le sue labbra mi parlino di noi, in quel vortice di felicità estrema che ormai ci avvolge, trasportandoci via. Sento il mio cuore battere così velocemente che sembra quasi voler uscire dal mio petto. O forse... forse è il suo a fare tanto rumore. È talmente vicino al mio da poter dire che battono ormai all'unisono, generando una risonanza talmente potente da poter distruggere l'universo.
Ad un tratto, sento le mie guance bagnarsi di piccole goccioline, e apro gli occhi: sono le sue lacrime che cadono dolcemente sul mio volto.
"Non potevo perderti... non adesso. Grazie." Mi sussurra.
"Perché stai piangendo?" Gli chiedo, confuso.
"È felicità." Mi risponde, sprigionando nuovamente un meraviglioso sorriso, in contrasto alle lacrime.
Piangere di felicità.
Non mi è nuova nemmeno questa. Ricordo che nel sogno, qualcuno lo faceva... una donna, ricordo il viso di una donna che piange sorridendo. Sì, si può piangere, se quel pianto è gioia. "Non siamo in un sogno, vero?"
Dean scuote la testa, senza smettere di sorridere. Afferra entrambe le mie mani e le poggia delicatamente sul suo busto.
"Tocca. Non vedi? Sono vero. Sono qui."
Comincio a tastare il suo corpo, quasi incredulo. È davvero qui. È reale. Ogni volta che le mie mani si poggiano sul suo petto, avvertono il battito del suo cuore, forte, e veloce. In realtà, è questo a darmi la conferma sulla verità.
Tuttavia, non riesco ancora a staccare le mie mani da lui. È così... vivo.
Ad un tratto, le mie mani toccano qualcosa in rilievo sotto la sua maglietta, all'altezza del petto; lui, vedendomi incuriosito, tira fuori dalla maglietta una collanina: una piccola croce d'argento, sulla quale vi sono incisi due cognomi: Wert, e Glade.
"È la vecchia catenina di famiglia." Mi spiega lui.
Ma c'è qualcosa in quella catenina, qualcosa che mi turba. Sento una sensazione sgradevole attanagliare il mio stomaco fino a ridurlo alla grandezza di una nocciolina.

Io conosco quella collana.

Io l'ho vista, nel mio sogno.

Per terra, in mezzo ad altri gioielli.

Coperta di sangue.

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