Capitolo 8 "Madre"

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Mi trovo in un folto e oscuro bosco, dove gli alberi sono talmente alti da impedirmi quasi di vedere il cielo: non se ne vedono più di luoghi così, adesso. L'unico verde che è rimasto, è quello dei parchi; le foreste e i boschi sono ormai vuoti, spogli, squallidi, privi di ogni forma di vita. Ma questo è diverso: la flora e la fauna sembrano abbondanti, e vi è una tale tranquillità che mi sembra di essere in paradiso. Poi, ad un certo punto, mi rendo conto di avere un fucile in mano, inizialmente non so per quale motivo. Lo capisco solo dopo, quando un enorme orso si presenta davanti a me. Ha un aspetto minaccioso, feroce. Senza pensarci due volte, comincio a sparare, mancando tuttavia il bersaglio, e facendolo imbestialire ancor di più. L'orso parte alla carica e mi attacca, facendo volare via il mio fucile con una zampata, così disarmandomi: sono spacciato. Dietro di me c'è un vicolo cieco, e l'orso continua ad avanzare; siamo vicinissimi. L'orso spalanca le fauci, forse per azzannarmi, forse per ruggire. Ma al posto del suo terribile verso animale, dalla sua bocca esce una voce:
"AVANTI MAMMOLETTA, SVEGLIATI! SONO LE 5 DEL MATTINO!"
Balzando e urlando dallo spavanto, cado dal letto. Helya ride a crepapelle davanti a me, arrivando quasi alle lacrime.
"È QUESTO IL MODO DI SVEGLIARE UNA PERSONA?!" Esclamo, su tutte le furie. Helya non la smette di ridere.
"Avresti dovuto vedere la tua faccia!" Dice, continuando a sbellicarsi.
Io che ero abituato alla mia dolce radiosveglia e al mio computer che ogni volta mi chiedeva se avevo dormito bene...Come farò a vivere così?
"Forza, muovi quelle chiappette: in cucina c'è la tua omelette cellulare."
Omelette? È il mio piatto preferito, Helya ha azzeccato davvero? Stento a crederci, e mi precipito come un razzo in cucina, cercando da tutte le parti qualcosa che somigli ad una omelette, ma non trovo nulla. Solo sul tavolo, una siringa dove all'interno si intravede del liquido grigiastro. Che stupido che sono, avrei dovuto proprio aspettarmelo.
"Per un attimo mi ero illuso..." Mormoro in tono deluso.
"Hai fame, Dean?" Alla sua domanda, faccio un impercettibile cenno con la testa.
"Iniettati quel liquido e sarai sazio. Fidati, funziona."
"Mi prendi in giro o...?"
"Tu fallo e basta."
Riluttante, afferro la siringa e sfioro con l'ago la pelle, senza però farlo entrare. È una estrema prova di fiducia, ma come ho già detto, devo imparare a credere ciecamente in lui. Trattenendo il fiato, premo lo stantuffo e osservo il liquido grigiastro entrare nel mio corpo.
"Incredible. Ti fidi già di me." Mormora.
"Posso sapere cosa fosse?" Gli domando.
"Serve ai muscoli, per evitare che si atrofizzino. E anche per renderli più elastici. Adesso andiamo, pivello, oggi è il giorno della prova più difficile. Dopo questa il peggio sarà passato."
Tutto ciò non è affatto rassicurante. Il fatto che mi abbia svegliato così presto, per poi farmi iniettare un liquido rafforzante mi preoccupa. In più quello che ha detto sulla giornata di oggi mi mette un'enorme ansia.
Attraversato il lungo corridoio, giungiamo davanti all'ascensore.
"Helya...ma come facevi a sapere che mi piacessero le omelette?" Domando mentre entriamo dentro e le grandi porte si chiudono. Ma lui non risponde, e si limita ad ammaccare uno dei tanti bottoncini; come al solito, l'ascensore sfreccia, facendomi sballottare a destra e a manca, mentre Helya sembra più tranquillo che mai.
"La prova di oggi sarà una cosa molto delicata. Molti restano traumatizzati per sempre."
Deglutisco a fatica, turbato.
"Che succede, Fegato? Paura?" Dice in tono provocatorio. Ma non appena sto per rispondere, l'ascensore si arresta con un suono metallico, e le porte si spalancano.
Lo scenario che mi appare davanti è abbastanza raccapricciante: una stanza vuota, scarna, squallida, dalle pareti biancastre e ricoperte in parte di muffa, piena di crepe nel soffitto. Al centro, una sedia. Ma non una normale sedia: somiglia a una sedia elettrica, o una roba da manicomio. Ha diversi fili collegati, difatti, di quelli che si attaccano al corpo con le ventose. In più, vi è un enorme schermo, anch'esso collegato alla sedia.
"Accomodati. Purtroppo non posso rivelare di preciso ciò che ti accadrà, anche perché non lo so nemmeno io. Ma bisogna che ti elenchi tutti gli effetti collaterali che può comportare." Helya si schiarisce la voce, e comincia a fare una lunga lista:
"-Stress emotivo permanente
-Insonnia
-Visioni e allucinazioni
-Attacchi epilettici
-Apnee notturne
-Asma incontrollata
-Convulsioni
-Svenimenti
-Nevrosi infondate"
Helya smette di parlare, e nota probabilmente l'espressione terrorizzata sul mio viso.
"È proprio necessario fare una cosa del genere?"
"Ovvio, non fare domande scontate. Avanti, siediti e non pensare a niente."
Anche questa è una prova di fiducia, forse. Magari è tutta una messa in scena da lui organizzata al fine di capire quanto sono disposto a fidarmi. Con il battito cardiaco accelerato, prendo posto su quella sedia orribile, ed Helya collega subito i cavetti a diverse aree della mia testa. Credo di star tremando come non mai:
"Rilassati. Più sei agitato, peggio è." Mi sussurra, ma questo non fa che farmi agitare ulteriormente.
"Tutto pronto. Preparati ad effettuare un viaggio attraverso uno dei luoghi più malvagi e bui che possano esistere: il cervello umano."
Helya abbassa una leva metallica, e non ho il tempo di rabbrividire, che cala l'oscurità.

Dove sono? Perché è tutto così buio? Io... sono morto?
Sì, sono sicuramente morto. È qui che finiscono le anime? Nel vuoto più assoluto?
Vi prego, qualcuno faccia qualcosa, qualsiasi cosa. Aiutatemi, fa freddo qui, e ho fame. Tanta fame. Troppa fame. Non posso restare così in eterno. Qualcuno mi ascolti, per favore!
Sto come nuotando in un grande vuoto nero. Sospeso. Non ricordo nulla, non ricordo cosa sia successo e perché sono qui.
"Mamma!" Esclama una piccola voce. Sembra appartenere a un bambino piccolo. Mi guardo intorno, confuso, fin quando non appare: è proprio un bambino. Appare spaventatissimo, in procinto di piangere. Una giovane donna lo tiene tra le braccia.
"Ho paura, mamma!" Piagnucola. La donna non riesce a parlare, e non fa altro che stringere il bambino al petto, tremando:
"Ti prego... prendi quello che vuoi, tutto quello che vuoi. Ma non farci del male, ti supplico." Fa per consegnare la sua borsa verso una direzione che non vedo, e una mano la afferra.
"Fermo dove sei, polizia!" Esclama una voce fuori campo.
"Presto, Dean, scappa! Vai da quei signori!" Esclama la donna, lasciando il bambino, che corre via.
Com'è che lo ha chiamato?
Dean?
Ma Dean è... è il mio nome.
Dopo che il bambino si è ormai allontanato, la donna cerca di scappare. Un colpo di pistola rimbomba nell'aria, e lei si accascia davanti ai miei occhi, in una pozza di sangue. Morta. E il bambino continua ad urlare disperato.
"Mamma! Mamma!"

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