Capitolo 35 "Evanescenza"

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Quando mi risveglio, vengo assalito da una sensazione fastidiosa, come un formicolìo incessante, che mi attraversa tutto il braccio sinistro. Provo a muovere la mano, il punto in cui il fastidio sembra essere maggiore, pensando che magari si sia addormentata. Ma più tento di muovere le articolazioni delle mie dita, più il fastidio si fa intenso; ancora mezzo addormentato, mi metto a sedere, continuando a scuotere la mano nel tentativo di far cessare il formicolìo. Non appena il mio sguardo si posa su di essa, però, mi rendo conto all'istante che qualcosa non va: le dita sono diventate evanescenti, praticamente quasi trasparenti, come quelle di un fantasma. All'inizio, penso ad un incubo, ma più i minuti passano più mi rendo conto che non sto sognando: la mia mano sta lentamente scomparendo.
Colto dallo shock e dallo spavento, caccio un urlo, balzando fuori dal letto e inciampando su me stesso, cadendo per terra scomposto. Quel trambusto sembra aver svegliato Helya, che balza in aria preoccupato:
"Dean, che diavolo fai?" Brontola, con gli occhi ancora impastati dal sonno che fa fatica ad aprire; i suoi capelli sono una massa informe di ciocche tese e spettinate sulla sua testa.
"CHE COSA SIGNIFICA QUESTO?!" Esclamo, senza riuscire a smettere di fissarmi la mano, incredulo di ciò che i miei occhi stanno guardando. Sento delle gocce di sudore scendermi giù per la schiena, mentre il fiato comincia a mancarmi.
Helya strabuzza gli occhi, cominciando a fissare anche lui la mia mano: impallidisce all'istante, sconvolto, quasi con gli occhi fuori dalle orbite.
"Che diamine è?" Mormora, confuso. Sembra non avere assolutamente idea di cosa sia ciò che ha davanti.
"Che cosa sta succedendo?! Helya, aiutami!" Lo supplico, in preda al panico. Lui sembra ancora più impreparato di me, non sa cosa fare.
"Sta' calmo, Dean. Non farti prendere dal panico." Riprende, cercando di rassicurarmi.
"Niente panico? Niente panico?! La mia mano sta fottutamente scomparendo!" Urlo, esasperato.
"Linguaggio!" Mi rimprovera, alzando la voce e fulminandomi con lo sguardo.
"S-scusami..." Guardo per terra, mortificato dalla mia mancanza di autocontrollo.
"Cerca di mantenere la calma, andrà tutto bene. Ci sono qui io." Mi rassicura, avvicinandosi un po'. Sensi di colpa mi assalgono: è mai possibile che non riusciamo mai ad essere tranquilli? Per colpa mia, adesso, c'è un nuovo ostacolo, che sembra essere serio. Perché? Perché il destino deve essere così pieno di insidie, così arduo? Non potremmo semplicemente... essere felici?
"Hey..." Helya mi rassicura con dolcezza, dandomi una leggera carezza sul viso:
"Va tutto bene, okay?" Mi sussurra dolcemente. Scoraggiato, affondo il mio viso sulla sua spalla.
"Che cosa faccio adesso?" Gli chiedo.
Lui non dice nulla, mi afferra semplicemente l'altra mano. Una sola stretta di mano mi manda tanti messaggi da parte sua. Frasi come "sono qui", "non aver paura, con me sei al sicuro", "non me ne vado", sono riassunte tutte lì. Svelto, quasi correndo, mi porta fuori dall'appartamento; percorriamo tutti i corridoi di diversi piani, fino a giungere al padiglione giusto: so da chi mi sta portando, è la prima persona a cui chiunque si rivolgerebbe, figurarsi Helya. Ci fermiamo davanti a una grossa porta con la maniglia d'ottone, dove sopra vi è un cartello.
"Buffy Averlock"
Recita in corsivo, in carattari molto eleganti.
Helya bussa animatamente più volte, le sue nocche generano un gran trambusto da quanto picchiano forti.
"Buffy!" La chiama, a gran voce, ma non si sente alcuna risposta da dietro la soglia, nemmeno dopo altri innumerevoli tentativi. È strano, non è da Buffy: di solito quando sa che Helya ha un bisogno è sempre pronta a farsi in quattro per aiutarlo. Perché adesso dovrebbe ignorarlo?
"È possibile che sia ancora al suo appartamento." Ipotizzo, ma Helya smonta la mia tesi con un netto cenno di "no".
"A quest'ora è sempre nel suo ufficio, già da un pezzo. Non le è permesso muoversi fino alle 15." Afferma, secco.
"Potrebbe aver chiesto un permesso, magari è in malattia ed è rimasta a.."
"I Non-morti non vanno in malattia!" Sbraita, esasperato, riprendendo a bussare.
"Helya, ma... È aperto." Mi accorgo che basta abbassare la maniglia della porta, per entrare.
"Dovremmo dare un'occhiata, almeno per vedere che fine ha fatto." Helya si fa strada all'interno dell'ufficio, senza aspettarmi, ma alla fine lo seguo:
la stanza è estremamente pulita e in ordine, nel puro stile di Buffy, vi sono due grosse librerie stracolme di libri sistemati perfettamente in ordine alfabetico o di altezza. Ognuno di questi è rivestito da una fodera di plastica che li mantenga nuovi ed eviti che il tempo li consumi; solo uno sembra fuori posto: è notevolmente più piccolo degli altri, la copertina marrone è sbadita, la rilegatura in pelle, scorticata e rovinata in più punti; somiglia a un diario. È gettato lì, in un angolo della scrivania al centro della stanza. Incuriosito, allungo una mano per afferrarlo, ma prima che riesca a sfogliarlo per vedere di cosa si tratti, un urlo agghiacciante risuona nell'ambiente, proveniente dalla bocca di Helya, pochi metri più avanti.
"BUFFY!" Lo sento urlare a squarciagola.
Mi precipito di corsa verso la direzione della sua voce, ed è lì che scorgo Helya, in ginocchio, pietrificato, davanti al corpo inerme di Buffy, moribonda, in una pozza di sangue. In una mano, stringe un'arma che ho già visto: è una delle tante utilizzate dai Cacciatori durante l'attacco.
Il mio cuore si ferma, davanti a quello scenario straziante, il sangue diventa ghiaccio, dentro le mie vene. Non è possibile, non può stare accadendo sul serio.
"Buffy, Buffy che cosa hai fatto?!" Helya la prende tra le sue braccia, scuotendola per rianimarla. Lei respira a fatica, ansimando, agonizzante.
"Perché? Perché?!" Continua ad urlare.
Sono di nuovo inutile. Di nuovo impotente. Non posso far altro che starmene lì impalato, incredulo, fino a sentirmi mancare, fissando a bocca aperta quella scena a cui mai avrei voluto assistere. Non riesco a reagire in nessun modo;
Di nuovo.
Buffy allunga debolmente una mano verso il volto di Helya, poggiandola sulla sua guancia, scostandogli alcune ciocche da davanti agli occhi.
"He...lya..." Cerca di fare un sorriso, che somiglia più a una smorfia di dolore, però. Una lacrima le scende lungo il viso, solitaria.
"Io non... ti servo... più..." I suoi sono mormorii smorzati, sussurri deboli balbettati, ed escono direttamente dalle sue labbra delle quali angoli non cessano di essere sollevati verso l'alto, nonostante tutto.
"Tu hai...Dean... Ci penserà lui ad... amarti. Lui si prenderà cura di te... Io..." Buffy interrompe la frase, tossendo violentemente. Helya scuote la testa, troppo sconvolto per dire qualcosa.
"Io non ho più motivo di vivere. Il mio unico desiderio era... la tua felicità... Speravo che, un giorno... sarei riuscita a... renderti felice!" La sua tosse si fa sempre più intensa e incessante: "Ma una volta che... è qualcun altro a pensarci, allora a me va bene così!"
"Buffy, ma che cosa dici? Ti prego, ti supplico, non andartene!" La implora, stringendola al suo petto.
"Non m'importa se... il mio Desiderio Supremo non si avvererà, e se la mia anima non si distaccherà da questo corpo, raggiungendo l'Aldilà... Io sono felice lo stesso. Perché... Perché lo sei anche tu..."
Aldilà? Desiderio Supremo? Di che cosa sta parlando?!
Buffy afferra la mano di Helya, sollevandola: mi accorgo che anche la sua è diventata come la mia: piano piano, sta diventando evanescente, scomparendo. Helya non sembra stupito, anzi, non ha nessuna reazione, come se si aspettasse che succedesse anche a lui, prima o poi.
"Buffy, di che cosa stai parlando?! Non riesco a capirti! Resisti, ti supplico, ci sarà qualcosa che posso fare! Dean, vai a chiamare qualcuno!"
No, non lo farò. Non mi perderò questa scena, quando so già che non c'è più niente da fare; e poi, Buffy non vuole essere salvata. Almeno, smetterà di soffrire per sempre per colpa di Helya. È dura da da ammettere, ma è così.
"Dean, che cosa stai aspettando?!" Urla.
"È troppo tardi...Helya... Non provare a salvarmi." Un gemito straziante esce dalla sua bocca, lacerandomi l'anima: Helya la stringe sempre più forte a sé, senza far nulla per trattenere le lacrime, che ormai scorrono libere lungo il suo volto; e così fanno anche le mie.
"Sono felice... Almeno, sei qui. Sto morendo tra le tue braccia... È già molto più di quello che avrei potuto desiderare."
"Stupida! Sei una stupida! Perché non mi hai mai detto niente, perché?! Perché non me ne hai mai parlato?!" Esclama Helya, tra i singhiozzi. Lei, però, non risponde alla sua domanda:
"Grazie per esserti ricordato di me. Sono grata di aver potuto... far parte della tua vita." Un'altra lacrima scende lungo il viso di Buffy.
Ormai, sono un fiume in piena anch'io. Mi sento un verme, come l'ultima persona al mondo che dovrebbe trovarsi lì ad assistere, in quel momento. I sensi di colpa cominciano a farsi sempre più pesanti, e a gravare dentro di me.
Quella minima luce di vitalità presente negli occhi di Buffy, sta scomparendo definitivamente; la vita la sta abbandonando.
"Helya, fallo, ora! Ti supplico, prima che sia troppo tardi!" Gli ordino, esclamando con tutta la voce che le mie corde vocali riescono a produrre.
"ADESSO!"

Prendendole il volto tra le mani insanguinate, Helya posa le sue labbra su quelle di Buffy, baciandola delicatamente.
Ed è con quel bacio, che Helya soffia via tutta la vita rimasta in Buffy: si spegne per sempre, come la luce di una candela, estinta da una folata di vento.
"Cosa pensavo di risolvere? Non siamo in una fiaba." Mormoro, con amarezza.
"No, non lo siamo." Il tono di Helya si è fatto incredibilmente piatto, serio. Le lacrime hanno smesso di scorrere sulle sue guance: si alza in piedi, adagiando delicatamente il corpo di Buffy per terra.
"Ma qualcosa è successo." Aggiunge.
E in effetti, accade qualcosa in quel momento: il corpo di Buffy comincia a subìre la stessa sorte che stanno subendo piano piano anche i nostri arti: comincia a diventare trasparente, fino a quando solo i contorni di esso risultano visibili. Piano piano, fino a diventare evanescente: fino a scomparire del tutto, come evaporando nell'aria.
"Di lei non è rimasto più niente..." Mormora con rabbia amara, mordendosi il labbro inferiore.
"Qualcosa è rimasto." Gli porgo il vecchio diario che avevo raccolto precedentemente da terra.
"Sono sicuro che lei vorrebbe che sia tu a custodirlo." Aggiungo.
"Non me lo perdonerò mai!" Stringe i pugni talmente forte da farli tremare, il sangue che affluisce alle sue guance, rendendole scarlatte.
"Non è stata colpa tua."
Stringo forte la sua mano, o almeno quella che gli è rimasta, con la paura che quella potrebbe essere una delle ultime volte in cui riuscirò a toccarlo.
"Che cosa ci sta succedendo?" Gli chiedo con un filo di voce, preoccupato.
"Quello che pensavo si è rivelato vero: sta per giungere la fine per noi due. La fine della nostra vita da Non-morti."

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