Dopo il rientro di Francesca e Giorgio, i quattro ragazzi avevano chiacchierato tra di loro per tutta la notte, sorseggiando birra e fumando pacchetti interi di sigarette e alla fine, a causa del tardo orario, gli ospiti si erano fermati a dormire a casa delle due amiche. Fu il rumore del campanello a disturbare il sonno di tutti i presenti. Mattia, rannicchiato in un angolo del letto, ci mise un po' per focalizzare bene la situazione, per rendersi conto che quella non era affatto la sua camera e che al suo fianco c'erano la piccola Mia e Paola, con le quali aveva passato tutta la notte. «Che cazzo ci fai qua? - sbottò Paola, ancora con la voce impastata dal sonno - ti avevo lasciato sul divano e ti ritrovo nel mio letto?» gli chiese con tono severo, mettendosi a sedere e stropicciandosi gli occhi. Entrambi poterono udire il rumore di alcuni passi, probabilmente di Francesca, e la porta d'ingresso che veniva aperta per poter permettere a colui che aveva osato disturbare il loro sonno di entrare, ma tuttavia non gli diedero molto peso.
«Era scomodo.» rispose soltanto, tentando di farla bastare come giustificazione poiché appena sveglio non era il massimo della simpatia e, soprattutto, odiava parlare. Paola assottigliò gli occhi, pronta per lanciargli contro le peggiori maledizioni e insultarlo per bene ma Mia la precedette.
«Ho sentito la voce di zio Cristian!» li avvertì la piccola, scendendo di corsa dal letto e correndo in cucina. Mattia la osservò andar via, accennando un lieve sorriso, poi tornò a puntare il suo sguardo su Paola, seduta con le gambe incrociate e un espressione stanca sul viso.
«Dormito bene?» le chiese stupidamente, cercando un modo per addolcirla e passarla liscia per il fatto che si era intrufolato nel suo letto. Ma, secondo il suo parere, quel letto matrimoniale era troppo invitante ed era troppo grande per lasciare che dormissero solo una ragazza e una bambina. C'era posto anche per lui. Paola annuì flebilmente e trascinò con fatica il suo corpo in posizione eretta, cominciando a camminare verso la porta a mo' di zombie. Mattia ridacchiò tra sè e sè, prima di alzarsi e raggiungere la cucina insieme a lei. Mia, Francesca e Giorgio ancora mezzi addormentati, consumavano la loro colazione chiacchierando con Cristian e Virginia.
«Che cazzo ci fate qua?» sbraitò la bionda, avvicinandosi a loro e sedendosi attorno al tavolo.
«Vi abbiamo portato la colazione, non si vede?» le rispose Cristian con sarcasmo, intento a mangiare un muffin e massaggiare, di nascosto, la gamba della sua compagna. Lo sguardo di Paola si posò immediatamente sui numerosi prodotti di sul quel tavolo, che variavano da cornetti a muffin e da cappuccini a semplici caffè zuccherati.
«Mh, ti ho già detto che ti amo Cri?» fu il commento della bionda prima che si avventasse su tutto quel ben di Dio presente sul tavolo.
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Quando all'una del pomeriggio Mattia bussò al campanello di casa sua, si sarebbe aspettato qualsiasi cosa ma non ciò che si ritrovò davanti. Sua madre se ne stava con una mano appoggiata sul fianco e un'espressione di rimprovero. Senza proferire parola lo fece entrare e, non appena si chiuse la porta alle spalle, cominciò a delirare. «Dove sei stato? Mi hai fatta preoccupare! Pensavo che le cose fossero chiare, Mattia. Ti avevo detto che ti avrei lasciato vivere di nuovo qui a patto che non ti comportassi come tre anni fa e tu cosa fai? Resti fuori tutta la notte chissà dove a fare chissà cosa.» sbraitò, alzando le braccia a mezz'aria con fare isterico. Il ragazzo corrugò la fronte, restando inerme per qualche secondo prima di scoppiarle a ridere in faccia in modo divertito.
«Di questo passo ti farai venire un infarto. Sono solo stato da Paola.» spiegò velocemente, prima di darle le spalle e recarsi in cucina. Patrizia tirò un sospiro di sollievo, che svanì non appena si rese conto di ciò che aveva realmente detto suo figlio, lo raggiunse velocemente e ricominciò con la sua predica, puntandogli un dito contro con fare minaccioso.
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In fuga dagli sguardi miei.
RomansaCopertina: @xEdenB Paola gli aveva detto addio. L'aveva fatto quella gelida mattina di novembre, afferrandolo per il colletto della camicia bianca ormai sgualcita, spingendolo ripetutamente verso la porta e urlandogli contro di non voler vedere mai...