Capitolo 5

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Suonò la sveglia e io mi alzai di corsa, ancora assonnata. Seguii la routine di tutti i giorni: doccia, caffè, denti e vestiti. Quel giorno optai per una gonna nera a vita alta e una camicetta bianca senza maniche, più le solite converse viola. Una piccola parte di me sapeva che mi vestivo così perché speravo che Bradley mi invitasse di nuovo a prendere un caffè, un'altra parte, molto più grande, scacciava questo stupido pensiero e si convinceva che lo facevo perché avevo semplicemente voglia di vestirmi bene.

Arrivai puntuale come un orologio svizzero al punto d'incontro, e cominciai subito a distribuire le radioline.
Mi trovavo molto bene con questo gruppo, erano tutte brave persone e mi ascoltavano molto volentieri.
Quel giorno l'itinerario era leggero, li avrei portati in un museo d'arte, poco distante dalla Bourbon Street.

Una volta dentro il museo gli dissi che sarebbero stati liberi di girarlo autonomamente, e gli indicai dove avrebbero potuto prendere delle audio-guide. Ci saremmo trovati all'ingresso due ore dopo.

Decisi di girare anche io per il museo, era tanto che non lo visitavo e avevo voglia di immergermi nell'arte.

Stavo osservando una tela, un nuovo arrivo, definita arte moderna. In realtà era solo una tela bianca con una striscia nera diagonale sopra. Piegai la testa per cercare di catturare l'essenza di quel quadro, o di capirne almeno il senso. Non mi piaceva l'arte moderna, la trovavo rozza e senza senso in confronto a quella degli anni passati. Come si poteva comparare la Venere di Botticelli con questa riga?

"Secondo me il pittore ci è caduto sopra con il pennello in mano, poi si è portato a letto una vecchia miliardaria così che glielo finanziasse" disse una voce alle mie spalle.
"Dovresti smetterla di arrivarmi da dietro quando meno me lo aspetto" dissi continuando a guardare la tela. Sorrisi spontaneamente e mi sorpresi delle varie reazioni che il mio corpo aveva quando stavo con Bradley.
"Ma fai così con tutti? O solo con me?" Chiese ridacchiando.
"Così come?" Domandai curiosa. Mi girai verso di lui e lo guardai negli occhi.
"Una persona tenta di fare la gentile e tu la allontani" disse guardando la tela come se fosse la cosa più interessante della sala.
"Scusa, ma quando arrivi tu mi metto un po' sulla difensiva" gli risposi ferma. Non volevo essere così schietta, ma volevo che capisse che ogni tanto le sue risposte acide e i suoi scatti d'ira allontanano le persone.
"Capisco" si limitò a rispondere.
Ci rimasi un po' male, forse mi aspettavo una sottospecie di scusa, anche camuffata, per il suo brutto carattere. Non un semplice capisco.
Tentando di non mostrare la delusione che prese spazio nel mio volto, mi voltai per andarmene in un altra stanza, ma Bradley mi prese per il polso e mi rigirò nella sua direzione. Avvicinò il suo volto al mio e strinse la presa nel mio polso, tanto da farmi male. Io voltai il viso di scatto, cercando di allontanarlo dal suo, mentre lui mi fissava serio. Avrebbe potuto incenerirmi con quegli occhi.
"Che hai adesso?" Chiese, quasi ringhiando.
"Niente, p-puoi mollarmi il polso? Mi stai facendo male" risposi sottovoce. Mi stava spaventando. Sembrava arrabbiato ma non capivo per cosa. Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi.
Scosse la testa, come se si fosse appena svegliato da un sogno. Mi mollò il polso e allontanò il suo viso dal mio.
"Scusa" disse flebilmente, facendo un movimento brusco con il braccio che mi spaventò. D'istinto mi spostai in dietro e alzai le mani.
La sua espressione divenne indecifrabile, fece un passò indietro e mi guardò come se avesse visto una cosa spaventosa.

"Ti ho spaventata?" Chiese in un sospiro.
Non risposi, perché non riuscivo a capire la situazione. Un'attimo prima mi sento a mio agio con lui, l'attimo dopo ho paura che mi faccia del male.
Vedendo che non rispondevo, fece un passo verso di me, ma io indietreggiai.
Non volevo stare li con lui un attimo di più, mi girai e corsi in un'altra stanza. Lui non mi seguii.

Evitai il suo sguardo per tutta la mattinata.
Usciti dal museo, portai il gruppo sulla costa del Golfo del Messico.
Dovemmo aspettare l'autobus che ci avrebbe accompagnato e nella mezz'ora trascorsa a bordo di esso raccontai loro gli avvenimenti recenti del luogo e le star che passarono le vacanze lì l'anno precedente.
Arrivati a destinazione, gli consigliai un ristorantino sulla spiaggia in cui poter pranzare o, alternativamente, un chioschietto che vendeva hot dog e patatine. Il pomeriggio era libero, da passare tranquillamente in spiaggia.
Il ritrovo fu fissato alle cinque e mezza nel posto dove ci aveva scaricato l'autobus, poi tutti si allontanarono alla ricerca di un pasto.

Uragano CooperDove le storie prendono vita. Scoprilo ora